Alla scoperta di nuovi sistemi complessi

La dinamica con la quale diverse tecnologie, tra cui l’informatica, la robotica, la  IoT, tendono a convergere e a biforcarsi producendo nuove, più efficienti soluzioni rispetto ai criteri produttivi vigenti è imprevedibile. I settori interessati sono molteplici. Per ovvie ragioni toccheremo solo una tendenza che è strettamente correlata al commercio: l’Empowerment Informativo. Col termine si intende il risultato di tutte le possibili applicazioni di Internet che ridefiniscono un vecchio problema di teoria del consumo. 

Anche il settore dei beni di largo consumo e delle insegne della distribuzione sono coinvolti. Il loro goodwill sarà determinato, dal crescente Empowerment Informativo massificato. Il processo di acquisto come lo conoscevamo era basato su tre vettori della comunicazione: il package, la pubblicità e l’esposizione della merce. Il tutto giustificava una serie di azioni fisiche quali il recarsi in un certo luogo, l’osservare, il decidere, il prelevare, il trasportare.  Tuttavia, gli esordi dell’e-commerce apportano qualcosa di nuovo e di dirompente nel settore.

Dal punto di vista dell’ ’economia dell’attenzione’, il processo percettivo-cognitivo-mnemonico attivato dalla lettura di un ‘catalogo’ di prodotti su uno schermo (vedi Amazon) è completamente diverso da quello messo in atto davanti a uno scaffale. Nel primo caso prevalgono fredde componenti razionali. Nel secondo, quelle più emotive ed istintive. Nel primo ciò che chiamiamo ‘fedeltà alla marca’ è meno rilevante. Nel secondo la fedeltà o meglio l’abitudine è motivata dal minor dispendio psicologico legato alla ricerca della qualità e alla valutazione del rischio. Nel primo trovano identico spazio e risalto prodotti locali o meno noti. Nel secondo le grandi brand schiacciano gli spazi a disposizione di quelle minori.

Si è mal compresa inoltre la crescita ineluttabile del canale ‘drive’ privilegiato dai prodotti seriali la cui qualità è identica ovunque nello spazio-tempo. Infatti il drive, inteso come magazzino automatizzato e come “punto veloce di prelievo” è un’altra forma di “sharing economy” perché: a) i clienti condividono a priori l’informazione su ciò desiderano, con il fornitore e b) il fornitore condivide con i clienti l’informazione circa le speciali opportunità di acquisto che potrebbero risultare vantaggiose ad entrambi, grazie alla loro accettazione preventiva dell’offerta.

In breve, il drive potrebbe portare il concetto di warehouse club (che ha segnato la fortuna di Costco) su piccola scala, in ogni quartiere. Il drive, proprio grazie alla condivisione delle informazioni sulle aspettative della clientela, potrà così gestire una coda assortimentale molto più ‘lunga’ di quella dei grandi ipermercati.  Ulteriormente, una rete di drive ben sviluppata sfrutterà il nuovo concetto di ‘dynamic warehouse network’ risolvendo il problema dei suoi spazi ridotti. 

Analoghe innovazioni riguarderanno i classici retailer brick & mortar. A fronte dei primi stadi della crescita della Grande Ristorazione Organizzata (GRO) sarà solo in virtù della sharing economy del lavoro che ipermercati e supermercati potranno introdurre, tra i loro servizi, il catering e il banqueting. Questi complementi ravviveranno un reparto gastronomico che rischia di divenire sempre meno competitivo di fronte alla tendenza del cibo anyhow, anytime, anywhere.

Subiremo o sfrutteremo, dunque, nuovi sistemi complessi di cui intravvediamo solo vaghi aspetti. Una comprensibile preoccupazione, di conseguenza, è quella di “livellare il campo di gioco (regolamentare)”, per consentire a tutti, in egual misura, di potervi partecipare. Tuttavia, questa condizione si realizzerà solo deregolamentando, e non viceversa, come stanno già facendo gli attuali governi. Infatti, regolamentando la sharing
economy vi è il rischio di porre un ostacolo allo spirito innovatore che nasce dal basso.

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