L’alta gamma in ascesa

È un lusso anche avere cassa in eccesso da investire. Le aziende dell’alta gamma , dopo anni di sforzi giganteschi nella propria rete distributiva, ora hanno molto da spendere o da restituire ai propri azionisti sotto forma di buy back o di dividendo.

La più liquida di tutte è la svizzera Richemont, che ha in cassa oltre 5 miliardi di euro, che potrebbero essere destinati a nuovi marchi della gioielleria e dell’orologeria di alta gamma, oppure per diversificare nella moda, dove il colosso elvetico è presente solo con Chloè e Alaia. Ma c’è anche la connazionale Swatch, che ha poco meno di un miliardo da investire o da restituire ai suoi azionisti. Tra i brand della moda invece la più liquida è Burberry, che tra l’altro è una delle poche pubblic company del lusso, che ha in cassa oltre un miliardo. Il gruppo anglosassone due anni fa ha fatto una scommessa diversa rispetto alle rivali, ricomprandosi da Coty la divisione cosmetica e profumi. E visto che Burberry è da sempre un’azienda basata unicamente sul suo brand e avendo già implementato una forte politica di “brand extention” partendo dall’impermeabile, gli esperti scommettono in cedole più ricche o buy back.

Le aziende italiane hanno in genere dimensioni più ridotte rispetto ai colossi esteri, e quindi maggiori prospettive di crescita per linee interne. Peraltro se Moncler ha ancora di fronte alcuni anni di investimenti sulla distribuzione, Cucinelli nell’ultimo triennio ha puntato 120 milioni per potenziare la propria rete, finanziando parte di questi investimenti anche grazie al debito (a fine 2015 le passività erano di 56 milioni). Stesso discorso per Tod’s che ha sempre pagato dividendi generosi, ma che si è appena imbarcata nell’acquisizione di Roger Vivier (operazione da 415 milioni, di cui la metà pagata in azioni Tod’s) pertanto per la prima volta nella sua storia si trova a essere indebitata, seppure di poco. Il caso è invece leggermente diverso per Salvatore Ferragamo, che avendo completamente azzerato i debiti grazie a una forte generazione di cassa, ora potrebbe remunerare un po’ di più i suoi azionisti. Infine, c’è grande attesa per l’Ipo di Valentino, piuttosto che per il ritorno sul mercato di una serie di brand che sono stati acquisiti negli anni dai private equity come Roberto Cavalli o Sergio Rossi, il cui rilancio richiederà alcuni anni.

E le holding francesi? Lvmh non è mai stata così solida. Il colosso del lusso mondiale è quello che più nel tempo è cresciuto per linee esterne, e data la politica di maxi acquisizioni degli ultimi anni (Berluti, Loro Piana e Bulgari solo nell’ultimo quinquennio) la società che fa capo ad Arnault è anche quella che la crescita futura se l’è già assicurata. Per questo Lvmh sta sperimentando nuove start up come Moyant, oppure nuove formule come gli hotel di lusso di Cheval Blanc Hotels (di cui uno sarà aperto all’interno di La Samaritaine) nei quali si possono comprare anche tutti i brand della maison.

A differnza di Lvmh la rivale Kering attraversa una fase di concentrazione e pulizia del suo portafoglio marchi, tant’è che la società non ha nemmeno escluso di essere disposta a valorizzare la controlalta sportiva Puma. Ma come successo con Sergio Rossi- ceduta a fine anno a Investindusitral, il gruppo guidato da François-Henri Pianult nel comprare come nel vendere è molto attento a non disperdere valore. Il processo di concentrazione di Kering sul luss – che ha comportato negli ultimi 10 anni la cessione di attività molto diverse come i grandi magazzini Printemps, i negozi di elettronica libri e musica della Fnac, le vendite per catalogo della La Redoute – permetterà di liberare sia risorse che energie per tornare a investire con forza su nuovi marchi. E nel frattempo Pinault potrà spingere l’acceleratore sugli ultimi acquisti come Brioni e Pomellato, ma anche lasciare aperta la porta per future acquisizioni di nuovi brand con cui integrare il portafoglio che poggia principalmente su Gucci, Bottega Veneta e Yves Sain Laurent.

tratto da affari & finanza

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