Uber, il futuro in Italia nel food delivery?

Nel 2014, l’idea di far consegnare ai tassisti Uber anche il cibo, era nata per sfruttare i tempi morti. La gente in California usava l’applicazione di noleggio auto la mattina (per andare in ufficio) e il tardo pomeriggio (per rientrare a casa) ma verso l’ora di pranzo gli autisti Uber si giravano i pollici. Poi il lancio del cosiddetto servizio di «food delivery», consegne a domicilio. Un mercato su cui girano cifre da capogiro. Basti pensare al caso PizzaBo, startup per avere la pizza a domicilio nata a Bologna e venduta prima al gruppo tedesco Rocket Internet per 51 milioni di euro e poi ceduta a Just Eat. Uber ha fiutato l’affare e ha già lanciato le consegne a domicilio in 18 città ma al momento le uniche europee in cui il servizio è disponibile sono Parigi e Londra. A cui però potrebbero presto aggiungersi anche Roma e Milano, dove l’azienda ha aperto alcune posizioni di lavoro.

Non è un caso che la startup nata a San Francisco nel 2009 e poi sviluppatasi in tutto il mondo, stia cercando altre soluzioni per svilupparsi in un mercato, come quello italiano, a dir poco complesso. Mentre infatti nel resto del mondo Uber ha lanciato diversi servizi (car pooling, trasporto disabili, auto elettriche, consegna urgente), in Italia l’applicazione è rimasta ingessata. Nel 2015 lo stop del tribunale di Milano al servizio di UberPop a livello nazionale (chiunque avesse patente e automobile poteva trasformarsi in un guidatore professionista), poi gli scontri con i tassisti, le minacce e le dimissioni della country manager Benedetta Arese Lucini, l’attesa infinita per un aggiornamento della legge del trasporto pubblico non di linea (del 1992) mai arrivata. Fattori che hanno fatto dell’Italia, per Uber, il peggiore mercato a livello regolatorio. Sono appena settanta mila gli utenti che hanno fatto almeno un viaggio con Uber nel nostro Paese negli ultimi 3 mesi contro gli oltre 1 milione della Francia, i 2 milioni e 600 mila della Gran Bretagna e i numeri stratosferici di altri mercati come India (5 milioni), Usa e Canada (18 milioni). Lo sa bene Carlo Tursi, l’ingegnere barese che da un anno ha preso il posto di Lucini e che evidentemente, in accordo con gli azionisti, visto lo stallo in tema legislativo sul servizio di sharing e noleggio auto, sta puntando ad altro per lo sviluppo dell’applicazione in Italia. Come UberEATS che andrà ad aggiungersi a UberBLACK (noleggio con conducente), unico servizio per ora disponibile in Italia.

tratto da corriere.it

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