Cambia il ruolo del punto vendita, con logiche e investimenti per progettarlo

I cambiamenti nel Retail degli ultimi anni, con la multicanalità e la nascita del modello “omni-channel”, hanno reso il negozio fisico un luogo totalmente differente da quello dei suoi esordi, quando era l’unico punto di contatto con la clientela. La riapertura dopo l’emergenza Covid darà un altro “scossone” al suo ruolo e lo porterà a cambiare volto un’altra volta. Prima dell’emergenza, il punto vendita nonostante il cambiamento di ruolo imposto dagli altri canali non sembrava aver perso il suo valore. I dati della Global Consumer Insights Survey di PwC presentati a fine 2019 evidenziavano come anche per Millennials e Generazione Z il punto vendita rappresenta ancora un riferimento importante per gli acquisiti. Lo frequentavano per le loro spese e, negli ultimi tre anni, avevano addirittura aumentato in modo significativo la frequenza di utilizzo rispetto al passato.

Per loro, ma anche per i clienti di altre generazioni, il punto di vendita fisico resta quindi un luogo di socializzazione, di scambio, di vicinanza e di confronto: elementi che continuano ad essere importanti almeno quanto la comodità, la velocità e la convenienza degli altri canali. Durante l’emergenza Covid il punto vendita è tornato ad essere un punto di riferimento, o meglio di “desiderio”. Il punto vendita diventa un luogo dove ritrovare relazione e “normalità” e nella scelta.

Una ricerca condotta da Boston Consulting Group ha coinvolto i consumatori durante 8 settimane di lockdown su come pensano di modificare i loro comportamenti e le loro abitudini di acquisto dopo la riapertura. Alcuni dei risultati dicono che l’attitudine verso l’acquisto nel PV non cambierà molto. Anche chi ha apprezzato gli acquisiti online non è sicuro di proseguire nel tempo con il canale digitale e pensa di tornare alla fisicità per i propri acquisti. Quello che sicuramente è cambiato sono i criteri di scelta dei punti vendita dove fare i propri acquisti: l’applicazione di misure e procedure di sicurezza è al primo posto.

Il punto di vendita quindi, pre e post Covid, non è più solo il luogo dove fare un acquisto e prelevare un prodotto, ma sempre di più uno spazio dove devono essere presenti tutte le leve per dimostrare chi è il brand e permettere al cliente di vivere un’esperienza di valore e in sicurezza. Di fatto, i canali alternativi hanno dato negli ultimi anni al punto vendita un ruolo meno importante ma più rilevante:
1) Meno importante perché non è più la fonte principale di fatturazione e di garanzia della marginalità.
2) Più rilevante perché è il luogo dove il cliente può mettere alla prova tutte le promesse che ha ricevuto e, attraverso l’esperienza fisica, costruirsi un’immagine dell’azienda e del brand difficilmente modificabile.

Il punto vendita in sé non è quindi messo in discussione, ma cambiano le logiche con cui lo si progetta e lo si gestisce per permettergli di giocare al meglio il suo nuovo ruolo. Su queste logiche, il cambiamento di approccio – non dappertutto, ma in molte realtà – sembra però andare a due velocità:
1) Molto spinto e rapido rispetto alla definizione e messa a punto degli aspetti strutturali.
2) Più lento quando si guarda al ruolo delle persone che operano nel punto vendita.

Fino a pochi mesi fa, nella progettazione dei nuovi punti vendita, l’attenzione verso il layout, gli arredi, le luci, gli spazi di interattività governati da tecnologie innovative e creative (dai camerini virtuali alle selezioni del prodotto giusto con percorsi esperienziali guidati da programmi touch-screen) era quasi esasperata, e giustamente. Tutto deve essere perfetto e tutto deve orientare il cliente verso l’esperienza che l’azienda vuole fargli vivere.Oggi a questi aspetti si aggiungono le misure per far percepire ed effettivamente offrire sicurezza rispetto al virus.

Quando però si inizia a pensare alle persone da inserire nel punto vendita, il ritmo rischia di rallentare e il modello guida si arena sotto il peso di indicatori economici costruiti ancora con le logiche del passato. Sono consapevole che le aziende devono costruire realtà sostenibili e i vincoli economici sono importanti: non solo è impossibile negarlo, ma sarebbe anche irrealistico. Però, se il modello cambia, se il ruolo del negozio cambia, un nuovo modo di pensare deve arrivare anche sul tavolo degli indicatori economici legati alle scelte sul personale.

Se il punto vendita diventa il luogo dove il cliente vive un’esperienza di valore, e dove percepisce il valore che il brand dà alla sicurezza, la presenza e le capacità delle persone che possono garantire la sua futura fidelizzazione al brand, diventano una leva per fare la differenza. Il personale di vendita ha realmente il potere di influenzare (in negativo o in positivo) la quantità di acquisti attuali e futuri e il loro valore; ha un impatto enorme sul livello di soddisfazione del cliente, e rappresenta l’azienda agli occhi del cliente.

La cura e l’attenzione che viene messa nella progettazione degli aspetti strutturali e nelle procedure di sicurezza deve quindi essere riposta anche nella definizione dei fabbisogni di persone, in termini di qualità e quantità. Quali e quanti sono i punti nevralgici del percorso del cliente in negozio che devono essere presidiati? In che modo dobbiamo presidiarli e con quale livello di assistenza? Questo livello è coerente con le promesse che stiamo facendo sugli altri canali e con la nostra proposta? Che tipo di competenze servono per far vivere al meglio il momento di vicinanza e prossimità? Con quale ritmo e con quale enfasi comunicare al cliente il nostro concetto di vicinanza, soprattutto oggi che la vicinanza fa ancora paura?

Progettare il punto vendita rispondendo a queste domande vuol dire sicuramente prendersi dei rischi sui costi legati alla numerica delle persone e agli investimenti da fare per avere le competenze adeguate. Ma nel cambiamento che sta vivendo il Retail e il consumatore, il ritorno non è solo sul singolo negozio: è sul brand e sull’azienda.

Fonte: ilsole24ore.com

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