Il piano di Adyen per unificare ecommerce e vendite fisiche

I numeri dicono che gli affari vanno bene. Nel 2022 Adyen, gigante dei pagamenti online, ha processato transazioni per 767,5 miliardi di euro (+49% anno su anno), con ricavi netti per 1,3 miliardi (+ 33%) e un ebitda da 728,3 milioni (+ 16%). La società è tra i big player mondiali di settore, anche se – spiega l’ad Peter van der Does – non è in doppia cifra in nessun Paese quanto a quote di mercato. Nel futuro ci sono un piano di assunzioni, investimenti in tecnologia e non solo: il primo regalo che si è fatto van der Does è un nuovo ufficio milanese su due piani, a pochi passi da piazza della Repubblica e dal Quadrilatero della moda. Vista su quello di Spotify, e tutta l’allure del distretto finanziario di meneghino. Che significa lusso, dirigenti dei marchi del fashion che calano in città per una delle tante occasioni di business, e possono facilmente arrivare qui a piedi dalle vie dello shopping. Per dire, quando ci raggiunge nella grande sala riunioni, van der Does ha appena incontrato lo stilista-filosofo Brunello Cucinelli.

Il futuro? Secondo l’olandese, si chiama unified commerce, commercio unificato: una sovrapposizione di fisico e virtuale in cui non è possibile distinguere i confini. Onlife, come si dice, per l’appunto, negli ambienti della filosofia tech.

Online o in negozio? Difficile dirlo
“Il settore si sta spostando sempre più verso le piattaforme – spiega il manager -. La gente non sa di cosa si tratti, al massimo pensa ai marketplace come eBay, dove è possibile vendere i propri beni. In realtà molti dei negozi fisici in cui siamo abituati a fare acquisti sono già diventati piattaforme, così come molti ristoranti, e con questo intendo dire che esiste un software attorno a cui gira tutta l’attività della società. E noi vogliamo essere parte di questo processo, perché riduce i problemi di chi lancia un business”. Cosa è cambiato rispetto al passato? “Fino a qualche anno fa bisognava acquistare i singoli componenti di gestione separatamente, e poi integrarli: un lavoro immane. Adesso i moduli sono disponibili in un solo pacchetto, in maniera che anche un piccolo locale possa gestire fornitori, crm e registratore di cassa acquistando un’unica soluzione”.

“Un’altra tendenza cui assistiamo da un po’ di tempo riguarda i negozi fisici, che stanno diventando sempre più service point di quelli online – dice van der Does -. Se ti piace un capo ma vuoi un colore differente che non è disponibile in negozio, oggi puoi provarlo, pagarlo e riceverlo direttamente a casa dall’e-store, senza bisogno di ordinare quattro taglie differenti e fare tre resi, come accade adesso, con costi economici e ambientali altissimi. Anche i team lavorano assieme: fino a qualche tempo fa chi seguiva i negozi fisici non incontrava mai i colleghi dell’ecommerce. Adesso molti hanno integrato le squadre, perché per alcune transazioni è impossibile stabilire dove realmente avvengano, e quindi tracciare un confine netto. Del resto, penso che tenere aperti i negozi nelle città sia una buona idea, e questo è uno dei modi in cui sopravvivranno”.

Il pericolo delle frodi
La progressiva digitalizzazione di commercio e pagamenti porta con sé l’aumento del rischio di frodi, dice van der Does. Adyen risponde con machine learning e collaborazione coi venditori. “Segnaliamo ai merchant le transazioni sospette, ad esempio la velocità con cui viene usata una carta, o se è stata usata in altre transazioni a rischio. Poi i venditori incrociano i dati con i database di cui dispongono: e naturalmente, se per loro è un buon cliente, sono liberi di ignorare il nostro allarme”. La sicurezza è un lavoro di squadra, dice, che deve, però, affrontare le gimcane della privacy e dell’usabilità. Uno dei problemi su sui si scervellano gli esperti del settore è l’autenticazione a due fattori, che penalizza l’esperienza degli utenti. “Chiaro che si starebbe meglio senza. Ma per il momento non è possibile eliminarla, e dobbiamo limitarci a cercare di non chiederla quando non è necessario” chiosa il manager.

Quando serve davvero l’Ai
Capitolo intelligenza artificiale, immancabile. Van der Does appare sereno al riguardo, distaccato. “Abbiamo un team dedicato, perché nel tech siamo tutti interessati all’Ai, e del resto disponiamo di molti ingegneri. Ma abbiamo grosse responsabilità nei confronti dei nostri merchant e non vogliamo che tutta la squadra sia distratta da questo fenomeno. Ci lavorano alcuni, gli altri restano focalizzati sul core business”.

L’Ai viene usata per il motore antifrode. E per il customer service? Sul sito di Adyen si legge “non ci nascondiamo dietro alle email ma rispondiamo al telefono”. Significa che non la impiegate? Sarebbe, a suo modo, una notizia. “Non è così. I chatbot sono usati nel customer service perché possono raccogliere tutte le informazioni rilevanti meglio degli esseri umani, ma noi lavoriamo sull’high end del mercato, e si tratta di clienti molto sofisticati. Spesso riceviamo domande come: dobbiamo aprire un negozio a Boston o è meglio New York? Possiamo fare la data analysis assieme? Facciamo un e-store o un negozio fisico? E per quelle l’Ai non serve. Insomma, penso che ci siano dei sottoinsiemi di domande a cui l’intelligenza artificiale può rispondere perfettamente, anche meglio degli umani, perché dispone di un enorme ammontare di dati. Ma quando si tratta di management, chi chiede a volte non è nemmeno consapevole di quello che vuole. E lì la presenza di un interlocutore in carne e ossa è fondamentale”

Tra le novità in arrivo per Adyen ci sono soluzioni di embedded finance che includono la possibilità di offrire ai clienti carte di pagamento virtuali e fisiche per le transazioni commerciali: le piattaforme e i marketplace hanno evidenziato la necessità di ridurre le complessità finanziarie per la loro utenza. Per questo, tra gli altri prodotti che verranno sviluppati, ci sono conti multivaluta che permetteranno di ricevere pagamenti, effettuare bonifici e conservare il denaro in modo sicuro in un’unica soluzione.

Le exit? “Sbagliato vendere dopo le Ipo”
Adyen è società quotata con base ad Amsterdam. In un Paese, l’Olanda, spesso scettico, van der Does si dice europeista. La capitale, dopo Brexit, doveva diventare il centro della finanza continentale, in un testa a testa con Parigi. Chi ha vinto la gara? “Non noi – risponde il manager – . Abbiamo regole molto rigide per il sistema finanziario: certo, servono a evitare che le banche creino profitti per i loro azionisti scaricando i costi della cattiva gestione sulla comunità con i bail out, ma io sono un fan delle regole europee comuni, quelle che pongono tutti sullo stesso piano. E questo non accade. Per esempio, i regolamenti per la privacy variano da Paese a Paese, e invece penso che sia importante che l’Europa operi come un’unità, senza spazio per interpretazioni locali. Ovviamente ci sono molte ragioni culturali per cui le persone dicono: abbiamo certe autonomie, non vogliamo che sia Bruxelles a decidere. Ma questo rende difficile fare l’imprenditore” riflette.

A proposito di imprenditori: cosa vi siete detti con Cucinelli? “Brunello ha una visione per cui i colletti blu devono ottenere più rispetto e salari adeguati. Per così dire, vuole rendere la sua società un esempio. E su questo andiamo d’accordo, anche se lo facciamo in modo diverso. Il fatto è che io penso che gli imprenditori europei debbano recitare un ruolo più importante sullo scenario globale: ma finora si è visto come, tra quanti hanno avuto successo, molti si sono affrettati a vendere la società. Quello che facciamo noi è mostrare che si può fare una Ipo e continuare a guidare un’azienda per portarla ancora più avanti. Non che ci siano mancate le occasioni: ma, alla fine, non te la cavi facendo così”.

Fonte: wired.it

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