Il riciclo entra nell’agenda del tessile. L’Italia è capofila

La moda circolare inizia e termina con il riciclo dei rifiuti tessili. È ormai una certezza che si giochi in gran parte qui la partita della sostenibilità per la filiera fashion, in corsa per ridimensionare il proprio impatto ambientale. Ed è proprio l’Italia a tagliare per prima il traguardo nell’applicazione delle norme europee, anticipandone l’attuazione di ben tre anni. Nel Belpaese, infatti, dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l’obbligo di raccogliere in modo differenziato i rifiuti tessili, a fronte di obiettivi e normative ancora in fieri. A definirli sarà la Commissione Europea, in base a quanto stabilito dalla direttiva 2018/851.

L’obbligo, infatti, si inserisce nel solco del ‘Pacchetto di direttive sull’economia circolare’ adottato dalla Ue quattro anni fa e che stabilisce obiettivi vincolanti per il riciclo dei rifiuti e la riduzione del numero delle discariche entro il 2025. L’Italia ha giocato d’anticipo, raccogliendo la sfida che avrà a che fare anche con la capacità di implementare una rete di impianti di riciclaggio a cui potrà contribuire il Pnrr, con il budget da un miliardo e mezzo stanziato dal Ministero per la Transizione Ecologica e finalizzato a “migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare”.

I rifiuti tessili rappresentano l’ultimo anello della catena, il più visibile e macroscopico di un intero sistema da ripensare in direzione green. La questione è impellente: secondo il ‘Rapporto sui rifiuti urbani’ pubblicato nel dicembre 2021 dall’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) nel 2020 sono state differenziate 143,3mila tonnellate di rifiuti tessili urbani, pari al solo 0,8% del totale della raccolta differenziata contro l’8,6% della plastica o il 12,2% del vetro. Ma la filiera si sta mostrando ricettiva nel tricolore, in cui si colgono inequivocabili segnali di un cambiamento di rotta. La formula magica sembra recitare ‘responsabilità estesa del produttore’ (Epr – Extended producer responsibility), il principio previsto dalle norme europee che incoraggia il produttore a farsi carico della gestione post-consumo dei beni immessi sul mercato.

Proprio con queste premesse è nato infatti Retex.Green, il consorzio di Sistema Moda Italia (Smi) sotto il segno del riciclo tessile. Rigorosamente no profit, Retex.Green si apre a produttori italiani della filiera moda, con il patrocinio di Smi e Fondazione del Tessile Italiano. La sua mission è la gestione ottimizzata dei rifiuti provenienti dall’universo del fashion, ponendosi come concreto strumento di implementazione dell’attività industriale di tutti i segmenti dell’intera filiera nell’ottica di un impegno per la sostenibilità ambientale che sia attivo e tangibile.

Il consorzio, presentato in anteprima durante l’ultima edizione di Pitti Uomo, sta scaldando i motori per diventare operativo nei prossimi mesi, in attesa del decreto ministeriale atteso a cavallo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 e che suggellerà il passaggio da consorzio volontario a sistema Epr ufficialmente riconosciuto, con l’introduzione del contributo ambientale.

Protagonisti della transizione green anche i textile hubs, che beneficiano dei 150 milioni di euro stanziati dal ‘Piano di Ripresa e Resilienza’, a cui si aggiunge anche una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo. Il primo esempio virtuoso arriva da Prato, capoluogo di uno dei distretti tessili più ampi e produttivi d’Italia, che ospiterà prossimamente il primo textile hub del Paese: un impianto per la selezione e il trattamento dei rifiuti tessili con una capacità di circa 34mila tonnellate all’anno.

Fonte: pambianconews.com 

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