Neuromarketing e retail: la misurazione dell’emozione per migliorare la customer journey dei clienti

Cinque domande e cinque risposte per conoscere il punto di vista di Fabio Babiloni, Professore di Fisiologia e Neuromarketing presso l’Università di Roma Sapienza, e componente del Comitato Scientifico di Retail Institute Italy.

1 – Che cosa è il Neuromarketing e su quali principi scientifici si basa?

Partiamo da un punto fondamentale: nel nostro cervello la funzione di decision making si fonda su diverse strutture cerebrali che molto spesso non sono in comunicazione tra loro per  via della loro natura: le strutture sotto corticali e la corteccia cerebrale.

Le strutture sotto corticali, essenziali per il marketing, guidano le decisioni relative al soddisfacimento di bisogni immediati e rappresentano la parte più istintiva e meno spiegabile di decision making.

La corteccia celebrale, è invece la sede dei pensieri e della facoltà di parola, e rappresenta la parte razionale e pragmatica di decision making.

Funziona così: i centri sotto corticali prendono per noi delle decisioni su colori, sapori, forme e gusti, che la nostra nostra corteccia cerebrale non sempre riesce a spiegare con convinzione. L’istinto prende il sopravvento, insomma.  Ma attenzione: questo non vuol dire che tutte le nostre decisioni siano prese sulla base dei corpi sotto corticali. Alcune decisioni importanti, come l’acquisto di una casa, di un’assicurazione, ecc. vengono prese con grande dettaglio dalla corteccia cerebrale.

In sostanza, il nostro cervello è dotato di centri di decisione di diversa natura, alcuni di essi hanno accesso alla parola, altri no. Con questa premessa è nata l’esigenza di poter misurare l’attività celebrale durante l’atto di acquisto o l’esposizione ad advertisement di quella componente “inspiegabile” ed istintiva del processo di acquisto. Ed è proprio questo il compito del Neuromarketing, ovvero delle neuroscenze applicate al marketing: misurare l’attività cerebrale alla ricerca di segni di apprezzamento e rifiuto da parte del cervello che non vengono espresse efficacemente a parole, una disciplina nata negli Stati Unita 15 anni fa e ormai largamente diffusa ed adottata anche in Italia.

2 – Quali vantaggi può dare una ricerca di mercato basata sul Neuromarketing rispetto alle ricerche di mercato tradizionali?

Facciamo un esempio pratico: un advertisement TV della durata di 30 secondi al quale viene esposto un gruppo di spettatori.

Con le ricerche di mercato tradizionali, verrebbe chiesto al gruppo di esprimere un parere, ovvero una sintesi di quanto visto durante o alla fine della narrazione. Parere che verrebbe espresso dagli spettatori con l’utilizzo della parola, ovvero grazie a quanto registrato dalla corteccia cerebrale.

Con il Neuromarketing, abbiamo invece la possibilità di misurare alcune aspetti della percezione che risultano particolarmente convincenti o meno, e che non sono spiegabili a parole in quanto influenzati dalle strutture sotto corticali. Come avviene il tutto?  Tramite la rilevazione dell’attività elettrica cerebrale dei componenti del gruppo durante la visualizzazione del filmato, secondo per secondo, con estrema precisione. Questo processo permette all’azienda di modificare l’advertisement rimuovendo alcuni segmenti o integrandolo in base all’attività rilevata, prima della messa in onda.

3 – Come si inserisce in questo contesto il mondo digitale?

Pensiamo per un momento alla user experience dei siti internet o delle app. Ovviamente questo mondo non può basarsi solo sulla misura del comportamento dell’utente fine a se stesso in quanto l’operatività dell’utente (misurata tramite analytics) non restituisce la percezione emotiva dell’esperienza. Grazie al Neuromarketing si va a misurare l’emozione e l’interesse cerebrale su quanto si sta visualizzando sullo schermo in un preciso momento: un mix di user behaviour e perception quindi.

4 – Esistono in Italia aziende che hanno impiegato le tecnologie del Neuromarketing per la loro comunicazione?

Si certo. In Italia Telecom adotta le strategie di neuroscenze applicate al marketing dal 2010. Avete presente lo spot del ballerino*? Ne avevamo previsto il successo sei mesi prima della messa in onda, proprio grazie ad uno studio di Neuromarketing costruito ad-hoc per l’azienda.

Un altro bell’esempio è quello dell’Alto Comitato Rifugiati delle Nazioni Unite che, grazie allo studio approfondito che ha impiegato i principi del Neuromarketing, ha avuto durante una delle sue ultime campagne il 500% in più di chiamate e donazioni.

5 – Quale sarà la prossima grande innovazione per il mondo business dopo Internet, grazie anche al contributo del Neuromarketing?

L’accoppiamento di tecniche di misurazione neuromarketing e realtà virtuale sarà a mio parere una delle grandi innovazioni del futuro. Potremo trascorrere del tempo in posti non ancora costruiti, viaggiare in veicoli non realizzati, misurare la nostra percezione di fronte a spazi virtuali. E non solo. Saremo in grado di misurare le percezioni del nostro cervello all’interno di questi spazi e di modificarli prima della loro realizzazione, con l’obiettivo di creare esperienze sempre più vicine alle esigenze dei clienti.

L’impatto della tecnologia diventerà sempre più rilevante, basti pensare all’IoT (n.d.r. Internet of Things): non servirà più realizzare fisicamente i modelli, basterà ricreare in 3D gli spazi di riferimento e misurarne le performance in tempo reale per verificare la reazione del cliente di fronte a prodotti e servizi andandoli a modificare prima ancora dell’entrata sul mercato.

 

Nato a Roma nel 1961, Fabio Babiloni è nella lista dei Top Italian Scientists, i migliori 2500 scienziati italiani viventi, in tutti i campi del sapere operanti in Italia e all’estero.

Autore di oltre 220 pubblicazioni scientifiche internazionali, ha una esperienza continuativa decennale negli studi di Neuromarketing per le aziende.

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