Coronavirus, la lezione cinese per retail e ristorazione

L’esperienza cinese qualcosa può insegnare anche lato retail e ristorazione, con le dovute differenze dovute a un mercato del lavoro meno elastico di quello cinese. Altra premessa: l’e-commerce cinese era, all’arrivo del Coronavirus, molto meglio equipaggiato di quello italiano, ma non dimentichiamo che la Sars nel 2002-2003, aveva già dato uno stimolo alle consegne a domicilio in Cina, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo di Alibaba.

E-commerce alimentare. L’aumento del mondo grocery è stato importante (in Cina raddoppiate), ma chi l’ha fatta da padrone sono stati i freschi, tutti, dai vegetali al pesce (vendite triplicate) una previsione che possiamo applicare anche all’Italia, tenuto conto delle perplessità che si rilevano nei confronti del packaging (plastica in primis) dovuta alla permanenza del virus sulle superfici inerti.

Alimentari. I produttori di cibo hanno rifocalizzato il loro business, spostando la distribuzione agli store di vicinato per il canale fisico e approfittando del momento per ampliare le strategie omnichannel che fossero b2b ed eventualmente aprendo canali b2c. Anche il marketing consumer è cambiato con budget spostati dalle campagne offline (affissioni, cinema etc) a quello online, schiacciando l’acceleratore sul digital marketing.

Ristorazione. Anche i ristoranti si sono riorganizzati, alcuni che già avevano aperto alle ghost kitchen (ristorante chiuso per pranzo e colazione ma cucina aperta per consegne a casa) e oltre ai piatti pronti, hanno proposto piatti da cucinare a casa semilavorati e con ingredienti per rifinirli. Altri si sono trasformati in gourmet store (la stessa cosa sta accadendo negli Stati Uniti), diventando così negozi da asporto.

Manodopera flessibile. In Cina, hotel, ristoranti e cinema -data la chiusura forzata – hanno condiviso i loro dipendenti con Hema (catena di proprietà di Alibaba) che aveva urgente bisogno di lavoro per i servizi di consegna. Altri player omnichannel, Ele, Meituan e 7Fresh di JD hanno seguito questo esempio prendendo in prestito manodopera dai ristoranti.

Beauty. La società cinese di cosmetici Lin Qingxuan è stata costretta a chiudere il 40% dei suoi negozi durante l’epidemia, ha così spostato tutti i suoi consulenti di bellezza sull’online, trasformandoli in influencer: un successo, vendite in aumento del 200% rispetto all’anno precedente. Anche dagli States le reazioni iniziano a farsi sentire: Glossier, e-tailer americano, con una anima store molto legata alla socializzazione, ha chiuso i suoi negozi ma ha aumentato i contenuti sul sito e, stando a quanto scrive Emily Weiss, fondatrice del brand, potrebbe proporre, con FaceTime, dieci minuti (prenotabili) di consigli per il make-up fatti ad personam.

Moda e abbigliamento. Ancora un esempio made in China: Cosmo Lady, la più grande azienda di biancheria intima e lingerie cinese, ha spostato le sue vendite su WeChat, coinvolgendo tutti i dipendenti e, per ingaggiarli ancora di più nella vendita, ha creato una classifica di chi vende di più, ceo incluso. Il canale online, già presente in molte delle insegne del fashion, è attivo ma la differenza la farà la capacità di adattare l’offerta e il content allo stile di vita decisamente casalingo dei propri clienti.

Fonte: repubblica.it

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