Economia circolare: da Amadori a Mutti, così rivivono gli scarti alimentari

Bucccette di pomodoro, foglie di mais, semi non conformi. E ancora ceci “fuori calibro”, noccioli della frutta, torsoli, pastazzo di agrumi e sottoprodotti della macellazione. In una fase storica dominata dal greenwashing, la scelta intrapresa da molti player dell’agroindustria di convertire gli scarti agricoli in energia, o in alimenti destinati alla zootecnia e al pet food, rappresenta motivo di orgoglio per il marchio, esempio di una economia circolare in cui l’ostentata corsa verso la transizione energetica assume un profilo di concretezza.

Gli scarti diventano energia

È il caso di Mutti – storica azienda di Parma, leader nella lavorazione del pomodoro – che recupera o ricicla l’81% dei rifiuti, destinando agli allevamenti o al biogas la materia prima fresca non idonea alla trasformazione; o della altoatesina Loacker, che converte in combustibile per il riscaldamento i gusci delle nocciole impiegate per produrre i wafer famosi in tutto il mondo.

La rivoluzione dei bilanci Esg
La buona pratica sulla roadmap della sostenibilità è certificata – nero su bianco – dai bilanci Esg, fiore all’occhiello delle aziende. «Ridurre gli sprechi nei nostri stabilimenti è prioritario» si legge in quello di La Doria, primo produttore europeo di legumi conservati, pelati e polpa di pomodoro nel canale retail e di sughi pronti a marchio del distributore.

Nel 2020 l’azienda di Angri (che ha chiuso l’anno con 848,1 milioni di ricavi) ha riutilizzato 6.600 tonnellate tra buccette di pomodoro e frutta (destinate a mangime per animali o utilizzate, insieme con i semi del frutto, come ammendante agricolo) e 570 tonnellate di noccioli (impiegati nella lavorazione della frutta secca).

Entro fine anno, inoltre, tutte le confezioni di cartone da 200 ml di succhi di frutta prodotte dall’azienda utilizzeranno plastica di origine vegetale ricavata dalla canna da zucchero.

Negli stabilimenti di Conserve Italia sono oltre 50mila le tonnellate di sottoprodotti recuperate ogni anno tra residui di lavorazione della frutta, pomodori, legumi e mais dolce. «Il contrasto allo spreco alimentare e il sostegno all’economia circolare sono buone pratiche che portiamo avanti da tempo», dichiara il direttore generale, Pier Paolo Rosetti.

Nel gruppo cooperativo i residui della lavorazione di piselli, fagiolini, fagioli e altri vegetali sono recuperati come fertilizzante agricolo o per la digestione anaerobica, mentre quelli della lavorazione dei legumi secchi sono destinati a uso alimentare zootecnico e convogliati nella digestione anaerobica.

Nei residui della lavorazione della frutta – spiegano – la frazione solida separata dalle passatrici che processano la polpa di frutta è convertita tramite avvio alla distillazione e produzione di energia per mezzo di digestione anaerobica. I noccioli di pesche, nettarine e albicocche diventano utili per la combustione finalizzata alla produzione di energia termica.

Dal pet food all’acquacoltura
In Amadori (azienda leader del comparto alimentare, specialista del settore avicolo), i sottoprodotti della macellazione diventano materia prima per il pet food, e il grasso, recuperato e convertito in biocombustibile, converge nell’acquacoltura. «Processi ad alto valore innovativo, come nel caso della produzione di pet food, rappresentano la strada per ridefinire una dimensione industriale più consapevole, responsabile e sostenibile», ricorda Michele Noera, responsabile funzione ambiente ed energia dell’azienda, che ha chiuso il 2020 con un fatturato di 1,2 miliardi.

Anche la materia organica residua derivante dai processi di lavaggio delle aree produttive, attraverso processi di filtrazione, viene separata dall’acqua – poi depurata e riutilizzata per altre finalità – e da scarto diventa materia organica destinata agli impianti di biodigestione anaerobica, che la trasformano in biogas e quindi energia 100% green.

Prendono la strada del pet food anche i residui animali provenienti dalle conserve ittiche, come nel caso di Callipo Conserve alimentari. La storica azienda calabrese, specializzata nella lavorazione del tonno, ha appena firmato un accordo con il Diceam dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria per valorizzare gli scarti della lavorazione del suo prodotto core e trasformarli in prodotti ad alto valore aggiunto di omega-3, declinabili nell’ambito della nutraceutica, della bioenergia o dei biofertilizzanti.

La valorizzazione degli scarti di pesce
I primi risultati sulla valorizzazione degli scarti di pesce sono stati presentati a Genova, durante Slow Fish 2021. «È un tema molto sensibile, considerando che si tratta di uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite in tema di sviluppo sostenibile», dicono i referenti scientifici dell’accordo.

Tra le attività già sperimentate dal Diceam un nuovo processo sostenibile per il recupero di un olio naturale ricco di omega-3 e vitamina D3, partendo dagli scarti di lavorazione dell’acciuga. Il prodotto solido residuo derivante dal processo di estrazione è stato ulteriormente valorizzato per la produzione di gas metano e biofertilizzanti.

Fonte: ilsole24ore.com 

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