Food & Made in Italy

Quasi mai le società italiane del food osano spingersi fuori dal sentiero conosciuto: seguono le orme della loro tradizione

Una delle ragioni è certamente nei caratteri del capitalismo nostrano, tradizionalmente di dimensioni ridotte nel confronto con quanto accade oltralpe. Il secondo motivo è più legato alla nostra industria alimentare. Il paradosso è che il food italiano è il più apprezzato nel mondo ma non certo il più venduto. Nel 2014 solo il 3,3 per cento del cibo del pianeta arrivava dall’Italia.

In cima alla classifica degli esportatori stanno gli Stati Uniti che nel 2013 vendevano il 10,1 per cento dei prodotti agroalimentari commercializzati a livello globale. Una percentuale che si spiega con il fatto che tra le prime dieci società del food mondiale ben sei hanno sede in Usa: CocaCola, PepsiCola, Kellog’s, General Mills, Mars e Mondelez. Al secondo posto nelle esportazioni ci sono, un po’ inaspettatamente, i Paesi Bassi con il 6,4 per cento. Uno dei motivi è che la Unilver, altro colosso dell’agroalimentare, ha sede a Rotterdam.

Questo infatti, più della dimensione delle aziende italiane del food, è il vero tallone d’Achille dell’industria agroalimentare italiana. Oscar Farinetti, patron di Eataly, la sintetizza con un linguaggio colorito: «E’ ora che la grande distribuzione di casa nostra alzi il sedere e vada a insediarsi fuori dalla Penisola, come hanno fatto i francesi». Farinetti cita l’esempio della Esselunga «fondata in Italia nel 1957 e rimasta sempre al di qua delle Alpi. Cinque anni dopo, nel 1962, nasceva Carrefour che oggi è presente in tutto il mondo e ha 80 ipermercati nella sola Cina». Differenze di cultura imprenditoriale.

Il nodo della distribuzione è quello che finisce per penalizzare il food italiano.

Dunque il problema non sembra essere tanto quello di avere una Nestlé italiana quanto quello di avere una Walmart, un colosso della distribuzione. L’Italia non ha bisogno di una grande multinazionale dei brand del food quanto di un grande scaffale di supermercato su cui esporre i prodotti.

In attesa di trovare il distributore mondiale italiano, l’unica catena a presenza globale è proprio quella di Eataly

tratto da affari&finanza

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