I grandi marchi come leva per ripopolare i centri storici

«La storia delle cravatte di Marinella dimostra come anche quando si è piccoli, se si ha un prodotto di qualità e un’idea precisa in testa, si può trasformare il proprio negozietto in qualcosa di conosciuto in tutto il mondo». A parlare è Marco Zanardi, alla guida del Retail Institute Italy, associazione che promuove la cultura del punto vendita.

Fra centri commerciali e web ha ancora senso parlare di commercio di prossimità?
«Partiamo da un dato pubblicato da Deloitte: il commercio online in Italia si è mangiato finora solo il 10% della torta. Quindi sarei cauto a parlare di cannibalizzazione dei punti vendita. Certo, l’altro grande competitor sono i centri commerciali. Ma anche i mall stanno cambiando pelle, si stanno trasformando in social hub, e la loro sfida è quella di intercettare abitudini di spesa che si stanno polarizzando: i single, le famiglie, le coppie senza figli, la terza età».

Difficile per un negozietto, non crede?
«Sulla Terra convivono sette generazione diverse, il che significa sette abitudini di spesa differenti. Il tema delle competenze è dunque fondamentale: non si può rimanere ancorati a un modello di business degli anni Settanta. Il primo passo che le nuove leve di esercenti devono assolutamente fare è conoscere meglio i propri clienti, sperimentando soluzioni innovative. Pensiamo al caso di Princi a Milano: Princi è e rimane un panettiere, tuttavia la sua proposta oggi si è allargata, è un luogo dove si fa accoglienza».

Le big-tech del commercio digitale, Amazon in testa, stanno sperimentando il ritorno al luogo fisico. Cosa significa?
«Che il consumatore ha bisogno di contatto umano. Che è il vero valore aggiunto del negozio di prossimità. È una ricchezza che non si deve perdere».
La Regione Lombardia sta finanziando i nuovi Duc. Come valuta lo strumento?
«Positivamente, ma sta a chi ridisegna il tessuto urbano offrire le infrastrutture per attrarre nuove insegne. Bene la priorità fiscale, ma poi servono politiche attive, servono eventi per valorizzare le diverse personalità dei quartieri».
La storia industriale insegna che un player forte in un distretto incentiva la nascita di altre attività. Può funzionare nel commercio?
«Cercare di attrarre grandi marchi è fondamentale per rivitalizzare una strada o un quartiere. Bisogna lavorare sul mix and match, dove possibile, per rendere il quartiere o la fetta di centro storico attrattivo per più categorie di consumatori».
Oggi si parla di «figital», sintesi di luogo fisico e di «market place» digitale. Una strada sbarrata per i piccoli?
«No, anzi. Oggi ci sono piattaforme che permettono anche ai piccoli di crearsi il proprio store online. Un’idea è quella di vendere la propria merce online e di permettere all’acquirente di ritirarla in negozio. Il 15% del commercio oggi è sullo smartphone ed esistono app di quartiere in grado di raccontare la propria proposta commerciale. Usiamole con intelligenza».

Fonte: corriere.it

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