L’intelligenza artificiale è il nuovo must anche nell’industria del lusso

Se l’intelligenza artificiale ha sempre tenuto banco nel mondo delle imprese, dall’adozione del machine learning in fabbrica al marketing data driven, questa fase di cambiamenti sembra aver spinto verso in mondo dell’Ai l’alta gamma made in Italy, dalla moda al design al cibo, senza alcuna esclusione.

L’intelligenza artificiale in passerella
Partiamo proprio dalla moda. La piattaforma di e-commerce Yoox Net-A-Porter, azienda da sempre attenta all’utilizzo delle nuove tecnologie, ha appena chiuso una partnership triennale con AlmageLab, prestigioso centro di ricerca sull’intelligenza artificiale dell’università di Modena e Reggio Emilia, dando vita a un programma di ricerca che ha come obiettivo quello di rivoluzionare completamente le esperienze di acquisto online, sviluppando soluzioni tecnologiche all’avanguardia grazie all’elaborazione dell’enorme archivio del gruppo. Punto di partenza, in particolare, saranno la Visual Search e Virtual Try On, quindi una elaborazione rapida di una grande quantità di dati che permetterà una ricerca accurata e personalizzata, ma anche un un’esperienza virtuale di interazione con i propri capi preferiti.

Nel mondo del design, ad esplorare il mondo Ai è stata Natuzzi, che l’anno scorso ha lanciato a New York il suo primo Augmented Store, uno spazio retail che unisce realtà virtuale e aumentata, display olografici e configuratori 3D in un negozio fisico, oggi disponibile anche nel flagship store di Tottenham Court Road a Londra.

“Un progetto dalle grandi potenzialità che sta dimostrando come – per la prima volta nel settore dell’arredo – sia possibile offrire al cliente un’esperienza totalmente nuova e immersiva”, spiega Andrea Cafiero, direttore marketing e comunicazione del gruppo: “Le difficili condizioni provocate dalla pandemia hanno sicuramente accelerato, con una velocità che non poteva essere prevista, la presenza della tecnologia nelle nostre vite in modo nettamente più capillare. La vera sfida oggi è saper interpretare questa nuova predisposizione, lavorando in un’ottica di flessibilità, personalizzazione e coinvolgimento, in cui innovazione e creatività diventano i punti di riferimento per una esperienza retail phygital, dove il virtuale arricchisce il fisico e viceversa”.

Lo showroom virtuale di Natuzzi è visitabile grazie i visori di realtà mista Microsoft HoloLens che incorporano un co-processore di artificial intelligence, spiega Barbara Cominelli, direttore marketing & operations di Microsoft Italia: “L’emergenza sanitaria ha portato molti settori a interrogarsi sul futuro e su come poter garantire continuità e competitività al proprio business durante il lockdown ma soprattutto nella fase della ripresa. In questo quadro abbiamo assistito a un crescente interesse delle aziende della moda e del lusso verso le nuove frontiere del digitale”. Chi aveva già avviato il processo, poi, ha individuato nell’innovazione tecnologica una leva competitiva. “Sono diversi i brand d’alta gamma che stanno dialogando con noi per ripensare i propri modelli di relazione e business e per esplorare i vantaggi della virtualità anche nell’interazione con gli stakesholder, i player della filiera e i consumatori finali. L’obiettivo è far leva sull’intelligenza artificiale e sulla realtà mista per abilitare nuove esperienze e nuove forme di engagement in una logica ibrida, in cui il fisico convive con il digitale”, aggiunge la manager.

Parola d’ordine: integrare
Sembra quindi che il grande dilemma (come può una tecnologia tanto avanzata avvicinarsi al mondo dell’artigianalità d’eccellenza e della manualità pregiata?) sia stato risolto, ricorda Paola Cillo, professore associato del dipartimento Management e Tecnologia dell’Università Bocconi: “Se guardiamo al passato, alla nascita delle piattaforme di ecommerce, si temeva che queste non sarebbero mai decollate nel mondo del lusso, invece che è proprio l’area nelle quali sono cresciute di più”.

Il tema dell’intelligenza artificiale in questo momento è fondamentale, prosegue Cillo, perché permette di focalizzarsi sul tema delle esperienze: “Si possono creare prodotti e campagne marketing completamente personalizzati, e quindi in teoria maggiormente in linea con le preferenze del cliente. Un tipo di approccio che si sposa bene con l’alta gamma, perché l’obiettivo delle aziende di fascia alta, dalle case di haute couture al design, puntano sempre di più su un prodotto tagliato sulle caratteristiche specifiche del singolo cliente”.

Attenzione però, spiega l’esperta. È vero che la sfida che le aziende di fascia alta stanno affrontando è per la personalizzazione dell’offerta, ed è vero che l’Ai permette di studiare le preferenze del soggetto, sia fisiche che virtuali, ma non è possibile generalizzare in modo estremo questa tendenza: “Bisogna al tempo stesso ricordare che la fascia alta nasce per far sognare. È la differenza rispetto alla fascia media o mass market: l’alta gamma deve assicurare una dimensione anticipatoria e se applico in modo massivo la politica di customizzazione dell’esperienza, dal marketing alla comunicazione, il rischio è che questa possa in qualche modo reiterare le mie scelte del passato, senza proiettarmi in quel sogno che mi aspetto da una azienda di fascia alta“. In questo senso, spiega Cillo, ogni azienda dovrà capire quando e dove applicare la tecnologia, lasciando invisibili alcuni processi e invece implementando la processazione di informazioni per i magazzini, per la creazione di prototipi o lo sviluppo del prodotto.

Una chiave per l’export
In fondo, è qui che risiede il successo di molte aziende del made in Italy. “Pensiamo anche al mondo del food – dice la docente -. Dovrà saper portare a casa, dalla pandemia, quel che di buono ci è stato in fatto di crollo di barriere tecnologiche e pagamenti contactless. Ci dovrà essere un innesto di elementi e processi legati al mondo Ai, ma preservando un approccio tradizionale”.

Per esempio, per raggiungere i clienti in un fase di distanza. “Grazie all’intelligenza artificiale è possibile ampliare l’esperienza e arricchirla con la realtà aumentata, facendo vivere l’esperienza del mio piatto in contesto creato ad hoc per quello che sto mangiando, anche a casa del cliente. Oppure, è possibile spedire un vino al cliente ricreando una visita virtuale alla cantina, incantando con paesaggi stupendi ed educando al tempo stesso: la ricchezza e la frammentazione dell’eccellenza enologica italiana fa fatica accreditarsi all’estero. Pensiamo solo a come la realtà aumentata potrebbe coinvolgere, educare e customizzare il mercato estero, nell’ambito dell’export”, prosegue Cillo.

Nella moda, un avatar virtuale potrebbe consentire di scremare le linee e le collezioni, lasciando al cliente una rosa ristretta tra cui scegliere. Queste operazioni sono ancora più strategiche se si pensa ai consumatori più giovani. Come la “generazione Z”: “È quella che oggettivamente è ormai abituata alla commistione tra reale e virtuale”, spiega la docente. La sfida vera, secondo l’esperta, è rendere questo incrocio di traiettorie un elemento distintivo, integrante ma non alternativo: “Non avremo mai, per esempio, un Salone del Mobile virtuale, secondo me. Ma sfruttando la giusta tecnologia sarà possibile raggiungere una platea più ampia, magari impossibilitata a raggiungere l’evento, ma anche processare grandi quantità di informazioni creando micro eventi il grado di radunare un micro-pubblico globale interessato ad aspetti iper-specifici”.

Altro esempio perfetto, spiega Cillo, è il mondo dell’automotive di lusso: “Il made in Italy non sarà mai intaccato dall’intelligenza artificiale o dalle tecnologie ad essa connessa. Non è una competizione: è fondamentale trovare la giusta dose per sfruttare al meglio l’Ai e aggiungere valore all’alta gamma, non toglierlo”.

Fonte: wired.it

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