McKinsey, la moda verso una digitalizzazione della supply chain

Se per il momento è ancora difficile fornire previsioni a livello finanziario circa l’impatto del covid-19 sul settore moda, quel che sembra essere certo è che questa crisi potrebbe condurre a una serie di cambiamenti positivi all’interno del comparto. La pandemia ha infatti scosso molti aspetti fondamentali dell’industria dei beni di lusso e alcuni di questi mutamenti potrebbero essere permanenti.

Secondo una stima di McKinsey & company, nel 2020 l’industria della moda globale, che prima dell’emergenza sanitaria generava 2,5 trilioni di dollari di fatturato all’anno, potrebbe subire una contrazione fino al 27-30%, con la possibilità di tornare a una crescita compresa tra il 2% e il 4% nel 2021. Per i beni di lusso come accessori, orologi, gioielli e beauty d’alta gamma è prevista invece una diminuzione del 35-39%, con una stima di ritorno alla crescita tra l’1% e il 4%. Priorità dei dirigenti per salvaguardare i propri business e i milioni di addetti del settore, ritiene la società di consulenza, deve essere quella di assicurarsi una strategia a breve termine e pianificare la ripresa con una serie di considerazioni per plasmare il percorso futuro.

«Il settore moda è stato colpito duramente dall’inizio della pandemia a oggi. Facendo una valutazione borsistica ha perso il 25%, mettendo in crisi soprattutto i department store e i marchi indipendenti», ha spiegato Antonio Achille, senior partner e global head of luxury di McKinsey. «Da un punto di vista di fatturato, secondo lo studio condotto, a fine 2020 i segmenti gioielleria e orologeria risulteranno i più colpiti. Per l’abbigliamento si stima una perdita tra il 30% e il 40% rispetto al 2019. Leggermente meglio pelletteria e accessori (-20/30%) e cosmesi (-15%). Per fare un bilancio della crisi è ancora presto, ma è già chiaro che alcuni fondamentali del settore sono impattati».

A partire dalla forte accelerazione del digital. Da un’indagine condotta in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Usa, è risultato che un 24% dei consumatori ha usato per la prima volta il canale online e, di questi, il 76% si è dichiarato soddisfatto. È quindi atteso un aumento significativo degli acquisti online dopo la crisi, anche se l’80% è interessato a tornare ad acquistare nei punti vendita fisici non appena riapriranno, in particolare i consumatori Millennials e Generation Z. È inoltre fondamentale che le aziende italiane mettano la digitalizzazione al centro del proprio business model.

Un altro punto riguarda infatti l’importanza di preservare la filiera made in Italy e le sue storiche imprese, spesso con una grande storia e conoscenza alle spalle, ma dotate di poca autonomia da un punto di vista di struttura patrimoniale e cassa. «Il 67% di queste si dichiara non in grado di riaprire se la crisi durerà altri sei mesi. Questo aumenta il rischio di off-shoring. Ci sono volute generazioni per costruire una sorta di patrimonio universale del savoir faire italiano e, se queste imprese dovessero chiudere, il pericolo è quello che vengano sostituite da un’altra azienda straniera», ha specificato Achille, confermando i timori espressi anche dal presidente di Confindustria Moda, Claudio Marenzi.

In questo scenario, una maggiore collaborazione futura tra le aziende della moda, anche concorrenti, sarebbe non solo auspicabile, ma anche necessaria. I player del settore avranno sempre più bisogno di condividere dati, strategie e insight per gestire la turbolenza. «Le istituzioni italiane stanno già facendo sistema, anche perché uno stesso fornitore serve diversi brand ed essi hanno bisogno di tenere in piedi i loro collaboratori. Non è da escludersi l’eventualità che i grossi gruppi decidano di proteggere le aziende a monte della filiera attraverso delle acquisizioni, salvaguardando in questo modo anche loro stessi poiché non potrebbero più produrre se queste aziende non dovessero sopravvivere», ha proseguito Antonio Achille.

Si spera in cambiamenti positivi anche dal punto di vista degli eventi, come fashion week e manifestazioni fieristiche, e a un sistema più ragionato nella produzione delle collezioni stagionali per facilitare anche i punti vendita ed evitare accumuli di merce invenduta e conseguenti saldi e smaltimenti dannosi in termini di valore per i marchi. In quest’ottica, anche il tema della sostenibilità riceverà uno slancio ulteriore.

Fonte: mffashion.com

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