USA, il boom dei virtual brand nella ristorazione

Il 41% dei ristoranti indipendenti negli Stati Uniti lavora con più di un’insegna virtuale, secondo quanto evidenzia un rapporto commissionato da Grubhub e realizzato dall’istituto di ricerca Technomic, che ha intervistato 350 operatori indipendenti tra il 20 e il 28 gennaio 2022.

A spingere i gestori dei locali verso questo nuovo approccio strategico è la domanda di consegna di cibo a domicilio da parte dei consumatori, che non accenna a diminuire anche ora che le restrizioni imposte dalla pandemia stanno diventando un lontano ricordo.

In media cinque marchi in portafoglio

Le evidenze più interessanti dello studio vengono riprese nell’articolo a firma di Aneurin Canham–Clyne su Restaurant Dive. Tra queste: il 68% degli intervistati riferisce che le insegne virtuali non sono esperimenti temporanei ma realtà permanenti, e il 46% prevede di aprire tre o più virtual concept nei prossimi 12 mesi. In media, i ristoranti che comprendono insegne virtuali ne hanno cinque in portafoglio.

I marchi virtuali vengono considerati una soluzione ideale per andare incontro alla richiesta dei clienti di avere canali di ordinazione diretta personalizzati, essenziali per il 97% degli intervistati. Infine, il 91% dei ristoranti indipendenti ritiene fondamentale poter accedere ai dati dei clienti, insieme alle ordinazioni senza commissioni (88%) e alla possibilità di veicolare esperienze di marca di valore (92%).

Bassi costi e flussi di cassa integrativi

Ma come si inseriscono queste nuove realtà nel preesistente modello di business?

“Circa un terzo degli intervistati possiede già canali di consegna diretta, e i risultati del rapporto ci indicano che gli operatori hanno una sempre maggiore dipendenza dal marketing digitale e dalle ordinazioni on line“, ha detto Kate Green, Vicepresidente dei servizi di ristorazione di Grubhub. Che aggiunge: “Gli operatori indipendenti sono di fronte a un grande cambiamento. Non possono più affidarsi solo alla presenza fisica, anche quando funziona. Il presidio digitale deve essere sempre più consistente: le insegne virtuali aiutano a rinforzare i flussi di cassa dei ristoranti e richiedono bassi costi di investimento. È questa la principale ragione per cui i ristoratori indipendenti sono così attratti da questo genere di soluzioni“.

Promozione sul web

Gli aggregatori, nel frattempo, non stanno a guardare. Anzi, hanno attivato una serie di soluzioni per sostenere lo sviluppo e il posizionamento dei ristoranti partner: Grubhub Direct, per esempio, permette loro di costruire un proprio sito web per promuoversi. Certo, Grubhub continua a far pagare le commissioni sugli ordini effettuati attraverso i siti di Grubhub Direct, anche se queste spese vengono descritte dal management come costi “di passaggio” e non come un modo per aumentare le entrate di Grubhub.

I canali di ordinazione diretta online possono anche aiutare gli operatori a raccogliere preziosi dati sui consumatori, che gli intervistati hanno indicato essere importanti per la pianificazione a lungo termine e fondamentali per determinare “quali cambiamenti apportare alla gestione, ai processi o al menu, in tempi brevi o nel lungo periodo“, ha detto Green.

Querelle sul possesso dei dati Sullo sfondo, resta il tema della gestione da parte delle piattaforme dei dati raccolti sulle abitudini d’acquisto dei clienti e su alcuni comportamenti non esattamente etici e trasparenti messi in atto dagli aggregatori. In diverse città degli Stati Uniti sono stati aperti contenziosi legali con le società di consegna, accusate di aver usato i marchi di ristoranti senza consenso, e a volte, addirittura, di aver creato siti web progettati per apparire come siti web ufficiali del locale, pur senza esserlo.

La municipalità di Chicago ha citato in giudizio Grubhub e DoorDash nel 2021, sostenendo che avevano fatto pubblicità a diversi ristoranti senza il loro consenso. Grubhub, a sua volta, ha citato in giudizio la città di NewYork lo scorso dicembre dopo che il consiglio comunale ha approvato le leggi che obbligano gli aggregatori di consegna a condividere i dati dei clienti con i ristoranti che lo richiedono, e ha stabilito un sistema di licenze regolamentato per le aziende di consegna.

Fonte: foodserviceweb.it

Vuoi diventare socio

di Retail Institute Italy?