Aldi prepara l’arrivo in Italia

Altro che crisi dei consumi. Sugli scaffali del discount piovono miliardi, sia per incassi che per nuovi investimenti. Gli scontrini battuti dal canale del primo prezzo, il più basso per categoria di prodotto, ormai valgono il 15% del mercato della grande distribuzione, quasi il doppio rispetto al 2008, avvicinandosi a sfondare quota 5.000 punti vendita sul territorio nazionale. Una cavalcata che avanza in controtendenza rispetto alle paludi degli acquisti in cui si sono impantanati gli altri canali (con gli ipermercati in crisi nera), generando l’addio all’Italia di Billa e il brusco stop di colossi come Auchan e Carrefour.

Ad accelerare il consolidamento di un comparto ancora molto frammentato, sono in tutto 42 le insegne, anche se sono 8 quelle che controllano l’80% del carrello della spesa, potrebbe esserci lo sbarco in Italia di Aldi, il gigante tedesco del discount da 67 miliardi di ricavi l’anno. La società sta studiando diversi dossier per preparare il suo ingresso nel mercato italiano, un pezzo pregiato che ancora manca al suo mosaico internazionale, che avverrà probabilmente attraverso un’operazione di acquisizione. Bocche cucite ai pianti alti della multinazionale, che si aprono solo per confermare che l’arrivo della catena sarà coordinato da Hofer KG, la consociata austriaca del gruppo. Tuttavia, appare chiaro che «tra cinque anni non saranno più di 5 o 6 gli operatori del discount in Italia», secondo le previsioni di Patrizio Podini. L’imprenditore bolzanino in 20 anni di carriera sotto le insegne Ld e Md, parte del Gruppo Lillo, ha costruito un impero del primo prezzo da 2 miliardi di fatturato (+10% nel 2014) e 720 negozi, permettendosi il lusso di conquistare nel 2013 300 store di Lombardini. Non ci sono “cattedrali” in costruzione nel futuro di Podini, ma 500 milioni di euro in investimenti, 1.250 assunzioni e 60 nuovi punti vendita di medie dimensioni (1.200 metri quadri) privilegiando le aree periferiche, vicino a incroci e raccordi stradali e puntando su una logistica efficiente. I consumi delle famiglie continuano a soffrire anche nel 2015: da inizio anno i volumi di vendita nella Gdo sono in calo dello 0,6%. Ma la novità è che il 56% delle famiglie italiane afferma di aver fatto almeno un acquisto nel canale discount, mentre il 15% ne è cliente abituale. E nel Mezzogiorno la quota di questi supermercati vale già oggi oltre il 20% dei consumi. Una causa indiretta della crisi economica, della perdita del potere d‘acquisto e la caccia estrema al prezzo conveniente. Ma non solo. «Dimenticate i magazzini degli hard discount con gli scatoloni aperti al posto degli scaffali, assortimenti ridotti e nessun marchio noto in offerta – spiega Nicola De Carne, retail business partner di Nielsen Italia – Il forte sviluppo del canale va di pari passo con l’adozione di nuovi format, ora aperti anche al fresco e ai prodotti di qualità». I principali operatori, almeno i primi 5 della classifica per fatturato, stanno cambiando volto a isole di vendita e scaffali. Soprattutto in casa Lidl, storico rivale di Aldi, presente in Italia da 25 anni, con 11mila addetti, 570 punti vendita e 10 centri distributivi e che oggi, guidato dal presidente Ignazio Paternò, sta trasformando l’insegna in un supermercato sì low cost ma con i confort di quelli tradizionali. La società ha appena messo sul piatto un piano di investimenti da un miliardo di euro che prevede l’apertura di 15 nuovi store l’anno e 2.000 assunzioni. Il termine discount comincia a star stretto all’azienda che ha sede nel veronese, la quale, pur rimanendo con i piedi piantati in una logica no frills, amplia gli spazi degli store, inserisce panetterie e allarga il paniere dei prodotti, puntando anche sulla qualità di linee come “Italiamo”, 300 prodotti tipici del made in Italy. «Il canale discount si sta “italianizzando” avvicinandosi progressivamente ai supermercati tradizionali, pur in una logica di prossimità con il consumatore che oggi risulta in molti casi, e non solo nel discount, davvero vincente», ammette Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, l’associazione di categoria della Gdo che, dopo essere uscita da Confcommercio, vorrebbe portare qualche big del “primo prezzo” sotto le sue ali di rappresentanza. In attesa di un scontro tedesco sul dominio del discount made in Italy, e con l’avanzata di Lillo, in vetta alla classifica rimane saldamente Eurospin, ormai il maggior discount italiano. Governato dal presidente Ivan Odorizzi macina punti vendita (è sopra quota mille), ha 4,6 miliardi di ricavi e l’Ebit più elevato (5,6 euro per ogni mille di fatturato), per un risultato netto nel 2013 di 135 milioni di euro. La crescita costante di questo canale e la disinvoltura con cui si stanno imponendo imprenditori fino a qualche anno fa ai margini del settore, e confintati in mercati regionali, stanno facendo masticare amaro a chi ha abbandonato le insegne low cost. Coop, nel 2013, ha ceduto i suoi 374 negozi discount Dico al gruppo Tuo dei fratelli Faranda (89 punti vendita), che oggi è tra primi 5 gruppi, pur con qualche problema nel digerire l’acquisizione, mentre Esselunga è uscita dalla sua partecipazione in Penny Market. Resiste invece Pam con l’insegna dedicata al low cost che è Inn’s, forte di 320 punti vendita. La politica no frills dei discount ha anche il suo lato oscuro, come denunciano spesso i sindacati, che faticano a trovare spazio in molte catene. Lo fa notare Alessio di Labio della Filcams Cgil che contesta «la tendenza ad esternalizzare interi reparti» al fine di applicare contratti meno onerosi di quelli del commercio. La contrattazione sindacale del resto è in panne in tutta la Gdo, ancora alle prese con il nuovo contratto di Federdistribuzione, la prima piattaforma fuori dal perimetro di Confcommercio. Nella foto qui sotto, un’insegna del gruppo tedesco Aldi, numero uno europeo dei discount con un fatturato complessivo di 67 miliardi di euro e una presenza consolidata su diversi mercati europei

tratto da affari e finanza

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