Da Alibaba a Uber, gli investitori scommettono sull’India

Che l’India sia destinato a essere uno dei perni del pianeta è una certezza, e non solo per la clamorosa crescita demografica che ne farà il paese più popolato al mondo. Con un’economia in netta ascesa da almeno un triennio, con una parabola che continuerà a incrementare il suo vertice ancora per molti anni a venire, la ricchezza media si dilata grazie allo sviluppo del settore industriale e del terziario.

I servizi sono il presente e soprattutto il futuro di quello che diventerà il mercato mondiale di riferimento, così non sorprende che grandi società sparse per il globo abbiano drizzato le antenne per penetrare nel Sub-Continente. Ovviamente percorrendo la via più semplice e redditizia, cioè supportare aziende locali dotate di potenziale per affermarsi su larga scala e già note nel paese.

Nel giro di pochi giorni sono così piovuti dollari su OYO Rooms e Snapdeal, due delle startup indiane più in vista e in forte espansione. Sul portale dedicato alle prenotazioni proposte a costi ridotti di camere standardizzate (WiFi e colazione gratuite, come il condizionatore, sono assicurate in ogni stanza degli oltre mille hotel delle circa 80 città indiane per ora in catalogo) ha da tempo messo gli occhi Softbank, che guida il finanziamento di 100 milioni di dollari accordato al progetto creato dal 21enne Ritesh Agarwal (primo asiatico a vincere il Thiel Fellowship, il concorso ideato da Peter Thiel e circoscritto a venti dei più promettenti imprenditori ventenni).

Denaro utile (che si somma ai 25 milioni di dollari ottenuti lo scorso aprile) per accelerare l’espansione nel paese con l’obiettivo di salire entro la fine dell’anno a 50mila stanze e 200 città, su cui insieme all’azienda di telecomunicazioni nipponica hanno scommesso pure i venture capital Sequia Capital, Greenoaks Capital e Lighspeed India. “Siamo concettualmente simili a Uber perche come loro nei trasporti, noi consentiamo alle persone di sfruttare in un nuovo modo gli alberghi“, spiega Agarwal che, per vincere la concorrenza interna di Wudstay, Stayzilla e Airbnb, punta sull’azione di piccoli nuclei di esperti da venti unità presenti in ognuna delle città dove arriva OYO Rooms e sul servizio di assistenza attivo 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana cui si dedica la maggioranza dei suoi 1.200 dipendenti.

Un altro big che punta tante fiches sull’India è Alibaba, al vertice del finanziamento da 500 milioni di dollari elargito a Snapdeal insieme a Foxconn (l’azienda taiwanese che assembla gli iPhone) e la stessa Softbank, già maggior azionista della startup indiana incentrata sull’e-commerce dopo i 627 milioni di dollari investiti lo scorso autunno. L’accordo è vantaggioso per tutte le parti, in particolar modo per il colosso di Jack Ma che da tempo era interessato a sbarcare in un mercato che vale 6,3 miliardi di dollari (fonte Morgan Stanley). L’iniezione di fondi potrà essere una spinta decisiva per Snapdeal, che con una quota di mercato del 32% sta recuperando terreno su Flipkart, leader dello shopping online indiano con una fetta del 44%, mentre Amazon deve accontentarsi di uno striminzito 15%. Migliorare la logistica per offrire una distribuzione più capillare e puntuale è il primo step di Spapdeal per ricucire il gap, tanto che la startup fondata nel 2010 da Kunal Bahl e Rohit Bansal ha già avallato spese fino a 200 milioni di dollari per puntellare le consegne a domicilio.

Un miliardo di dollari nei prossimi nove mesi è, invece, l’ammontare degli investimenti previsti da Uber per espandersi in India. Toccare nuove città, sviluppare soluzioni di pagamento digitale e migliorare un servizio sconfinato talvolta nella cronaca nera (come nel caso dell’autista che tentò di stuprare una turista) sono le direttive principi del servizio rivolte al paese diventato in breve tempo, con la Cina, il mercato di riferimento dopo gli Usa. Una mossa doverosa per un’azienda che, nonostante i problemi legislativi e i ripetuti stop ordinati dai giudici (è successo anche in India, dove proprio pochi giorni fa la corte di Delhi ha revocato un divieto imposto dal governo), è attiva in 57 paesi e ha una valutazione superiore ai 40 miliardi di dollari.

tratto da wired.it

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