Da Gap a Primark cambio della guardia nel fast fashion

Perché da lì, analizzandoli con occhio clinico e con metodi da analisi scientifica, si traggono tendenze, mode, gusti e cambiamenti sull’universo mondo, giovanile e non. Poi però arriva la sfida: essere i primi a tradurre in capi d’abbigliamento e accessori questi umori. Infine, lanciarli sul mercato su scala mondiale, il più capillarmente possibile ma soprattutto rapidamente. Non a caso il neologismo che identifica più precisamente il settore non è “casual chic”, “private label”, “low cost branding” o “cheap textile”, che pure sono tutti usati, bensì “fast fashion”.

Il fashion è “fast” in tutto: se dopo qualche giorno o settimana si capisce che quella linea non ha incontrato i gusti del pubblico malgrado tutti i sondaggi precedenti, viene ritirata e avanti il prossimo. E’ il mondo di cinque giganti: l’americana Gap, la spagnola Zara, la svedese H&M, la giapponese Uniqlo e la britannica Primark che è l’ultima arrivata e sta per aprire di slancio i primi tre negozi in Italia, a Venezia, Milano e Roma entro fine anno. Sono cinque colossi industriali che riescono a vendere a poco prezzo (non stracciato) e hanno conquistato una specifica credibilità di marchio.

Per fortuna altri marchi della famiglia reggono: Old Navy, non a caso il più low cost di tutti, è passato l’anno scorso da 6 a 7 miliardi di vendite, più dello stesso marchio Gap. Il gruppo, che ha chiuso il 2014 con 16,4 miliardi di dollari di fatturato complessivo ma prevede una contrazione per il 2015, ha perso la leadership a favore dei più aggressivi Zara e H&M.

Anche quest’ultima peraltro ha le sue preoccupazioni per il fattore valuta: l’azienda svedese importa materie prime e semilavorati dall’America ma soprattutto dai Paesi del sud est asiatico pagandoli in dollari. Come per l’hi-tech, gli analisti finanziari sono attentissimi a cogliere il minimo scostamento rispetto alle previsioni e a ricavarne previsioni che mandano il titolo sulle montagne russe: il gruppo svedese ha sì riportato vendite in aumento da 38 a 46 miliardi di corone nel primo trimestre (4 miliardi di euro), ma l’incremento del 21% è stato giudicato deludente rispetto al 28% dell’arcirivale Zara, che viaggia sui 4,3 miliardi di euro di fatturato a trimestre e detiene attualmente il primo posto (di misura) fra i cinque grandi del fast fashion.

Chi il mondo l’ha già conquistato è certamente Zara, 6.700 negozi in 88 Paesi, esponente di un “fashion” così “fast” che si vanta di riuscire a far passare solo una settimana dal momento in cui il capo viene ideato a quello in cui è negli scaffali nel magazzino, contro i sei mesi di media per la moda meno “veloce”.

Se Zara è il primo, l’ultimo di questa top five, ma crescerà in fretta, è Primark, nome nuovo che però sarà presto popolare anche in Italia dove aprirà in autunno i primi tre magazzini. Fondato nel 1969 a Dublino, inizialmente con il nome Penneys, allargatosi via via a tutto il Regno Unito (dove oggi conta 165 negozi su 270 totali), il gruppo si è lanciato con decisione nel settore solo nel 2005, quando ha aperto a Madrid il primo magazzino all’estero. Poi si è allargato a una decina di Paesi europei, ha raggiunto il ragguardevole fatturato di 4 miliardi di sterline ed eccolo qui ad affollare il vibrante mercato del fast fashion anche in Italia.

tratto da affari & finanza

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