Il «consumatore attivista» riscrive le regole della cosmesi

Un consumatore-attivista. E’ con questa etichetta che l’economista Flavien Neuvy, direttore dell’Osservatorio Cetelem, definisce i clienti del beauty del post-covid. «Era una tendenza già nell’aria, che si è radicalizzata nell’era del post-Covid. Già da tempo avevamo registrato la volontà di consumare in maniera responsabile, in un’ottica di do good to feel good», ha spiegato l’esperto basandosi sui risultati di un recente studio pubblicato da quest’organismo nato nel 1985 per comprendere le mutazioni nei consumi, «ma è nuovo il desiderio che gli altri facciano lo stesso. In quest’ottica vanno visti gli appelli al boicottaggio o le occupazioni illegali di siti produttivi: azioni che il consumatore alla fine giustifica perché sono visti come modi di attirare l’attenzione su comportamenti poco etici o ecologici».

Ma non c’è solo la difesa del pianeta a muovere questo cliente militante che vuole avere la coscienza pulita. «I temi sociali che un tempo non pesavano sull’atto d’acquisto di un cosmetico hanno oggi una grande influenza: le condizioni di lavoro dei dipendenti, la diversità, la politica inclusiva del brand. Tutti dati che rimescolano le carte e non vanno sempre a favore dei grandi gruppi».

In effetti, malgrado la crisi, una schiera di beauty-brand di nicchia, che hanno trasmesso da subito un messaggio di «naturalità» e applicato la politica del «circuito corto» (43% degli europei stima che vada incoraggiato l’acquisto di prodotti locali) e della «semplicità», hanno visto le loro vendite in forte ascensione. «Alcune di loro», ha precisato Neuvy, «hanno registrato una crescita a tre cifre negli Usa. Hanno saputo trovare idee e concetti innovativi e d’attualità che obbligano le grandi case storiche a rivedere il loro posizionamento marketing e a fare più sforzi di creatività».

«I marchi che non hanno avuto modo di adattarsi registrano cali del fatturato che toccano l’80% . Il circuito del Travel retail per esempio è crollato (incide fino al 20% per alcuni brand del lusso). Ma la cosmesi ha comunque giorni sereni davanti a sé: il fatturato è raddoppiato negli ultimi 15 anni, per toccare oggi i 500 miliardi di euro (79 per l’Europa, 67 per gli Usa e 48 per la Cina). E’ un settore dinamico e la crisi non lo frenerà, ci sarà solo un riaggiustamento dei best-seller: meno rossetti e più mascara, più trattamenti idratanti perché indossare le maschere secca la pelle e soprattutto tanti prodotti cosiddetti d’igiene», ha aggiunto David Egee, direttore della strategia di Veeva, agenzia leader nelle soluzioni per l’industria cosmetica.

L’ «ondata igienista» non va tuttavia a discapito dell’elemento «piacere», componente irrinunciabile della cosmesi. «C’è un grande bisogno di benessere, ancor più dopo la quarantena, e i mestieri della bellezza sono rivalorizzati: si riconosce la loro capacità di dare conforto e di portare quel tocco di felicità di cui si ha bisogno», ha analizzato Christophe Masson, direttore generale del polo produttivo Cosmetic valley, che riunisce l’industria cosmetica francese, «è su questi elementi che le marche di beauty devono far leva. E per riuscirci il primo requisito è la trasparenza. Il cliente, che spesso legge notizie contraddittorie nel web, ha bisogno di informazioni chiare, va educato. Per esempio, quando si accusa una sostanza di essere nociva, spiegare che la dannosità di una materia prima può dipendere dal dosaggio. Oppure far accettare che certi ingredienti naturali possano avere «impurità».
La rivoluzione è in cammino anche nei packaging. «I brand tendono a ridurli o addirittura a sopprimerli. I flaconi diventano riciclabili e forniti di applicatori che evitano il contatto del prodotto con le mani. C’è una grande ricerca in questo settore. Contenitori più semplici, ecologici e intuitivi dietro i quali ci sono anni di studio e spesso brevetti internazionali», ha ricordato Masson.

Infine, tra i fenomeni accentuati dall’epidemia, le vendite on-line che nelle settimane di quarantena hanno trovato un trampolino di lancio. Già in movimento ascendente (L’Oréal realizzava il 13% del fatturato con il web già prima dei mesi di lockdown), l’e-retail diventerà tra poco uno dei primi canali di vendita di un settore che finora l’aveva sempre un po’ snobbato.

Fonte: mffashion.com

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