In lattina? Yes, we ‘can’. Il contenitore in alluminio conquista il vino mondiale

Nella botte piccola ci sta il vino buono, è vero. Ma anche nella lattina. Come dimostrano i numeri, il formato del vino in lattina d’alluminio sta conquistando il mercato mondiale e si accinge a raggiungere anche quello italiano, se pur con qualche reticenza. Secondo le stime rilasciate a metà 2020 da Grand View Research, società di ricerca e analisi di mercato californiana, entro il 2027 il volume d’affari del vino in lattina a livello mondiale supererà quota 155 milioni di dollari (circa 131 milioni di euro), con un tasso annuo di crescita composto del 10,4 per cento. Da un’analisi condotta da Nielsen, invece, emerge come già nel luglio 2020 sono stati superati i 180 milioni di dollari di giro d’affari, rispetto agli appena 2 milioni di dollari del 2012, mentre, come ricorda Wine Intelligence, l’interesse, tra i bevitori abituali di vino, è cresciuto in maniera sensibile: se nel 2017 solo il 21% dei britannici ed il 33% degli americani prendeva in considerazione l’idea di comprare vino in lattina, la percentuale nel 2020 è salita rispettivamente al 32% e al 42 per cento. Ma quali sono le ragioni di questo boom? L’aspetto pratico in primis: il vino in lattina è un prodotto comodo, maneggevole, leggero e che permette un consumo più immediato; e poi il contenuto equivale a due bicchieri di vino, per cui si esaurisce senza che la bevanda avanzi. Infine, non da meno, il fattore sostenibilità: l’alluminio, infatti, è riciclabile all’infinito e comporta un minor consumo di Co2.

I GIOVANI E LA SOSTENIBILITÀ
Non stupisce quindi che il target principale di questo prodotto siano le nuove generazioni. Sono proprio i giovani che spingono la svolta green dalla vigna alla bottiglia, come emerge da un sondaggio di Agivi, l’Associazione giovani imprenditori vinicoli italiani under 40 di Unione Italiana Vini che ha indagato l’attitudine green dei suoi associati. “Da tempo in Associazione registriamo una sensibilità diffusa e crescente su questi temi – spiega la presidente di Agivi, Violante Gardini Cinelli Colombini –, per questo abbiamo deciso di provare a misurare quanto il rispetto per l’ambiente influenzi le scelte aziendali, anche in un’ottica di nuove chance commerciali. Ne è emerso un quadro interessante: quasi 7 intervistati su 10 hanno dichiarato di selezionare i fornitori in base alla sostenibilità delle loro proposte, e sono l’83% le aziende che dichiarano di avere progetti o piani sul tema della sostenibilità, già ultimati o in corso di realizzazione in 8 casi su 10”. Stando al sondaggio, la quasi totalità dei giovani imprenditori vinicoli intervistati (94,3%) ritiene che la sostenibilità possa rappresentare un fattore decisivo per la competitività nei mercati nazionale ed estero, e sono il 64,7% quelli che hanno optato per dei packaging a ridotto impatto ambientale. Sul fenomeno della lattina ha influito, e non poco, la pandemia, che inevitabilmente ha cambiato le abitudini delle persone. Le nuove generazioni hanno esigenze di consumare il vino anche in situazioni non standard, come a un festival, in spiaggia, un pic-nic o durante un’escursione, e la lattina risulta un formato ideale per il servizio d’asporto e il consumo all’aperto.

FENOMENO ANGLOSASSONE… MA CON RADICI ITALIANE
Come anticipato, il vino in lattina gode di una grande popolarità all’estero, soprattutto in Paesi anglosassoni come Stati Uniti, Regno Unito e Australia. Ma è in Italia che questo tipo di formato è nato alla fine degli anni Settanta per merito della Cantina Giacobazzi di Modena. “Mio padre Antonio ha sempre avuto uno spirito innovativo e assolutamente privo di preconcetti”, racconta Giovanni Giacobazzi, presidente di Donelli Vini. “Nel 1978 depositò presso il Ministero dell’Agricoltura e Sanità la domanda per poter confezionare il vino in contenitori alternativi. Fino a quegli anni, infatti, il vino poteva essere confezionato solamente in vetro, coccio e legno”. La domanda venne accolta nel 1982, aprendo così le porte al confezionamento del vino in tetrapack, in Pet e naturalmente anche in lattina. “L’idea – prosegue il presidente – era quella di poter avere un contenitore riciclabile al 100%, stoccabile in maniera ottimale per salvare spazio e anche molto leggero. Già all’epoca, infatti, esportavamo i nostri vini nei 5 continenti e l’incidenza dei costi di trasporto erano notevoli e l’ottimizzazione della logistica era importante”. La lattina, quindi, si è rivelata ecologica ed economica. Nonostante le radici italiane, nel Belpaese il fenomeno del vino in lattina rimane ancora un tabù, anche se Giacobazzi ritiene che ci sia “molta curiosità, e, seppur ancora in fase embrionale, presto partirà”. Dello stesso parere Stefano Sgarzi, titolare e amministratore unico di Cantine Sgarzi, azienda bolognese che produce circa 15 milioni all’anno di lattine che valgono più del 15% del fatturato complessivo. “I consumatori italiani sono pronti e molto incuriositi – commenta Sgarzi -, purtroppo la distribuzione tradizionale è ancora molto titubante e non garantisce il giusto spazio a questa nuova possibilità”. In Italia, “la percentuale di vendita del vino in lattina è ancora esigua. Il consumatore italiano è tradizionalmente molto legato al mondo del vino e il collegamento con la bottiglia di vetro è istantaneo”. Ciò detto, “non vogliamo negare un futuro alla lattina in Italia. Anzi, il consumo del vino in lattina si potrebbe sviluppare e diffondere per ‘imitazione’. I consumatori italiani influenzati dai trend americani/ giapponesi potrebbero far proprio questo nuovo format adattando le loro abitudini d’acquisto e consumo, e superando così l’altissima barriera rappresentata dal pregiudizio”. Secondo Sgarzi, infatti, il mercato nazionale si è sviluppato e continua a svilupparsi attraverso le tendenze che si diffondono tra le nuove generazioni. “Se il vino in lattina gode di grande popolarità, per esempio, negli Usa, siamo convinti che le nostre nuove generazioni non resisteranno a far propria la moda d’Oltreoceano”.

QUESTIONE QUALITÀ
Un nodo importante riguarda la qualità del prodotto contenuto nella lattina. I più scettici, infatti, percepiscono il vino in lattina come di bassa qualità. “Possiamo dire con certezza di no, al di là dei nostri assaggi comparativi (che potrebbero risultare di parte in questo contesto) dei recenti studi sui vini in lattina confrontati con quelli imbottigliati hanno dimostrato che non esiste una differenza significativa nella valutazione del consumatore”, spiega Corrado Mapelli, direttore generale e member of board di Gruppo Meregalli, che lo scorso anno ha portato per la prima volta in Italia le lattine di vino della cantina californiana Francis Ford Coppola Winery. “Le lattine non hanno modificato i vini in alcun modo per chi li beve, è il vino che conta. La lattina è solo un contenitore. Lo speciale rivestimento interno è la chiave del successo della lattina, che è un ottimo conduttore di temperatura, salvaguarda aromi e sapori e, inoltre, garantisce una buona protezione dai raggi solari e luce in genere”. Secondo Mapelli è giusto specificare che la lattina non si pone l’obiettivo di sostituire il vetro o di rivoluzionare il mondo di Bacco, può però “evolverlo” essendo molto più affine a ciò che le nuove generazioni cercano. “Si tratta – continua il manager – di un consumo meno meditativo ma più conviviale e spensierato, ovvero senza necessità di analisi sensoriali o di ritualità obbligate. Siamo agli inizi e seppur non solo il vino in lattina deve ancora farsi scoprire, quello che notiamo è che questo nuovo tipo di formato o di consumo non sembra avere un impatto negativo sulla qualità percepita dal consumatore”. Insomma, “è certo che i grandi vini, non potranno mai finire in lattina ma questo non significa, però, che la lattina implica bassa qualità, anzi in questo caso con Coppola troviamo addirittura la Diamond Collection, Chardonnay, Pinot Nero, Sauvignon Blanc, dunque vini freschi e immediati”.

NUOVE STARTUP
In questo quadro c’è anche chi è nato con l’idea di produrre vino in lattina. Si tratta di Zai – Urban Winery, cantina veronese approdata sul mercato lo scorso marzo con una linea di sei referenze, divise equamente tra bianchi, rossi e bollicine. “Seguiamo il mercato da anni ed è sempre stato nostro interesse approfondire certe dinamiche; quando abbiamo compreso che i tempi fossero maturi abbiamo scelto di compiere quella strada”, racconta Benoit Frécon, uno dei cinque soci.
“I mercati sono principalmente esteri ma l’Italia si è dimostrata più propensa verso questo nuovo formato rispetto alle considerazioni comuni che ci vedevano come mercato solo ed esclusivamente tradizionalista”.

Fonte: pambianconews.com 

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