La sfida sostenibile delle grandi catene. Uniqlo ‘cancella’ il fast fashion

Il mondo del fast fashion è tra i segmenti più sollecitati al cambio di passo in chiave sostenibile. La trasformazione dal modello “fast” a qualcosa di meno impattante si sta traducendo in differenti ‘strategie di transizione’ da parte delle grandi catene mondiali. Tra i casi più radicali sembra esserci Uniqlo, brand del gruppo nipponico Fast Retailing, oggi alle prese con un riposizionamento che vuole portare distante dallo stesso concetto fast fashion. “Vorrei sottolineare – spiega Alessandro Dudech, COO di Uniqlo Europe e responsabile del mercato Italia – che Uniqlo non può essere considerata un’azienda fast fashion. La nostra proposta è il Lifewear, innovazione, qualità, cura nei dettagli e quanto più lontano ci possa essere da una moda che promuove ricambio sugli scaffali e consumismo. Uniqlo non insegue la moda. Si focalizza piuttosto sul rapporto qualità (giapponese)-prezzo e sulla longevità, che sconfina nella classicità, dei capi”.

Lifewear, dunque, è diventato adesso il mantra del marchio. Un concetto ambizioso che lega il vestire alla vita, e quindi si propone come uno scopo decisamente più elevato rispetto a quello economico di una collezione. “Il Lifewear – spiega Dudech – non appartiene solo al nostro prodotto, ma è ciò che siamo. Significa non inseguire la moda a tutti i costi, e investire su qualità e innovazione nei materiali e collaborazioni d’autore: sono queste le strategie del gruppo Fast Retailing per superare le difficoltà e crescere. Un abbigliamento che aiuta a migliorare la vita di tutti i giorni e la società”.

Peraltro, Uniqlo sta costruendo la propria sostenibilità non soltanto sul fronte ambientale. Ma anche su quello sociale. A fine 2019 aveva fatto scalpore, specialmente in una cultura tradizionalista come quella nipponica, il ‘testamento’ imprenditoriale a mezzo stampa di Tadashi Yanai, il patron di Fast Retailing, che ha spiegato, in un’intervista che ha fatto il giro dei media mondiali, che vorrebbe che il suo successore al timone del gruppo sia una donna.

Oggi, Dudech spiega che Uniqlo promuove la diversità come uno dei suo principi fondamentali. “Il tema è molto più ampio, parliamo di Diversity e Inclusion. Il nostro Lifewear è made for all. Da sempre diamo massima priorità alle persone. Ad agosto 2020, le donne rappresentavano il 39,2% delle posizioni manageriali totali nel gruppo Fast Retailing. Il board europeo di Uniqlo è composto per il 70% da donne. Ma non solo questo. Dal 2001 cerchiamo in modo proattivo di assumere persone con disabilità e di creare ambienti in cui possano lavorare con un senso di realizzazione. Teniamo in considerazione anche i rifugiati, tanto che nel nostro store di Milano il 10% dello staff è rappresentato proprio da questa categoria”.

La responsabilità sostenibile, peraltro, va oltre i confini dell’azienda, e deve sempre più confrontarsi con la supply chain. “Abbiamo istituito – riprende Dudech – un Comitato per i Diritti Umani, destinato a offrire consigli e supervisione, per fare in modo che il rispetto dei diritti umani sia garantito sulla base della nostra policy, e che le attività aziendali si svolgano correttamente. Nel processo di monitoraggio del lavoro, verifichiamo lo stato di conformità delle fabbriche partner usando il Codice di condotta per i partner di produzione Fast Retailing. Tale Codice stabilisce le regole che le fabbriche partner devono rispettare, e i risultati della valutazione vengono pubblicati sul nostro sito web”.

Insomma, uno sforzo trasversale che punta a coinvolgere l’intera struttura aziendale. Del resto, l’obiettivo, come detto, è un cambiamento profondo di identità. A cominciare da quel nome, ‘Fast Retailing’, che sembra rimasto nel passato. Oggi, “Fast Retailing ha poco di veloce e, a pensarci bene, ha anche poco a che fare con la moda”. L’ambizione vera è trasformare “il nostro focus in qualcosa di molto più ampio: lavorare e produrre per una società migliore e positiva”.

Fonte: pambianconews.com 

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