Consumi: la crisi continua ma nuovi “miti” ispirano la spesa

Cambiano le mode e gli stili di vita ma per comprendere i consumi di un Paese non si può non partire dall’analisi dei fattori macroeconomici. Ed è proprio quello che il rapporto “Miti del consumo, consumo dei miti” di Censis e Conad ha fatto, certificando quello che molte famiglie ben sanno: lo stato di salute dell’Italia non è dei migliori e molti cittadini faticano ad arrivare alla fine del mese. In questo contesto non ci sono le premesse per una decisa ripresa dei consumi privati, evento che, non a caso, non si intravede neanche su un orizzonte temporale lontano. Questo non vuol però dire che tutte le merci presenti sugli scaffali di grandi magazzini e supermercati vadano male ed è proprio qui che si inseriscono le mode e gli stili di vita che determinano il successo di un prodotto e la debacle di un altro.

A dieci anni dalla grande crisi, il potere d’acquisto delle famiglie italiane è del 6,3% reale inferiore a quello di allora; i consumi sono del 2% inferiori a quelli del 2008 e il totale delle attività finanziarie in portafoglio è dello 0,8% inferiore. Il 70,5% dei cittadini è convinto che nei prossimi dodici mesi non potrà spendere di più per i consumi propri e della propria famiglia, convinzione trasversale ai gruppi sociali e ai territori, con il picco del 75,9% tra i residenti nel Nord-Ovest. Il Censis rileva poi come da troppo tempo vi sia una maggioranza di italiani con retribuzioni basse che non crescono o crescono poco e patrimoni che non fanno sentire né ricchi né al riparo da scivoloni di fronte a eventi avversi.

L’antico ceto medio, che godeva di redditi solidi per consumi, risparmi in crescita e patrimoni robusti in ulteriore irrobustimento, ha lasciato il posto a una diversificazione dei gruppi sociali, con tante famiglie che hanno un benessere inferiore al loro passato anche recente e una percezione che le cose andranno sempre e comunque peggio.

Questi dati sono la base per una interessante analisi socio-economica, che il rapporto Censis declina così: “Nel miracolo economico e negli anni successivi, fino alla grande crisi del 2008, i consumi erano per le persone leva di benessere ed espressione di status sociale e identità correlata: ecco perché più consumi erano sempre e comunque la direzione positiva. Sul piano economico, più consumi significavano più domanda, cioè più spazio per offerta, produzione e occupazione. Questo modello, incluso il suo pantheon di miti mobilizzatori per più acquisti, è saltato”.

“Il consumatore che decide i propri acquisti discernendo tra massicci flussi informativi — prosegue il ragionamento del Censis — privilegia nel carrello alcuni beni, perché italiani o biologici o equosolidali o perché hanno altri caratteri ancora, dai quali si capisce in modo molto chiaro che quei beni non solo rispondono al bisogno, ma sempre più spesso esprimono anche attenzione all’ambiente, agli altri, alla propria o altrui comunità. I consumi buoni e responsabili e i miti che li spingono sono ormai molto più che la risposta al bisogno del soggetto di stare meglio, di avere più alta qualità individualistica della vita, sono anche nella loro massificazione un motore di trasformazione sociale e culturale, capace di generare benefici socialmente rilevanti, a cominciare da una più alta coesione comunitaria”.

Ecco quindi come le convinzioni del consumatore e le sue esigenze rimescolano le carte, decretando il successo di alcuni prodotti, successo che ad una prima analisi appare incomprensibile. Si tratta infatti di merci dai prezzi alti o quanto meno sostenuti che, a causa della generale riduzione del potere d’acquisto, dovrebbero in teoria esser scartati per far posto nel carrello a prodotti più basici e quindi meno cari. Ma questo non succede, anzi accade l’esatto opposto: il consumatore preferisce rimodulare i propri acquisti, magari riducendo le quantità e combattendo lo spreco, pur di acquistare quel determinato prodotto che risponde esattamente alle sue esigenze e attese. Si spiega così la forte crescita dei prodotti “free from”, quelli senza una o più sostanze, come per esempio i senza sale, senza zucchero o senza olio di palma. I dati segnalano +2% di vendite nel periodo agosto 2017-agosto 2018, con punte del +7,8% per i prodotti a ridotte calorie.

«Il successo di questi prodotti è un paradosso che squarcia un velo — spiega Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis — Questa non è una crisi puramente economica ma anche di tipo sociale e culturale e i consumi ce la restituiscono in maniera formidabile. Alcuni prodotti riescono a superare il setaccio dei clienti che penalizza tutti i settori perché sono funzionali alla creazione di una microfelicità personale; soddisfano un benessere nella vita quotidiana che crea una barriera di protezione verso un contesto che viene percepito come molto incerto e penalizzante». Secondo Valerii la crisi ha rappresentato una cesura fondamentale nel comportamento degli Italiani: al consumismo del passato si è sostituita la “neosobrietà”. E per capire quando la crisi sarà definitivamente superata sarà sufficiente guardare al fiume di risparmio che i cittadini hanno accumulato sui conti correnti per sfiducia nel futuro. «Si tratta di capitale sottratto all’economia che potrà però esser rimesso in circolo solo quando recupereremo una capacità di guardare al futuro collettivamente e in maniera positiva, il vero tassello che manca oggi all’Italia».

Fonte: La Repubblica

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