Il tramonto di Starbucks in Cina: l’ascesa dei rivali locali mette in crisi il gigante del caffé

Prima le accuse, a dicembre, di utilizzare prodotti scaduti. E relativa rivolta in Rete. Poi, la settimana scorsa, la quasi rissa tra camerieri e poliziotti scoppiata nella città di Chongqing con gli agenti invitati ad andarsene perché stavano bevendo e mangiando in una zona fuori del locale dove non era consentito: con l’austero Quotidiano del Popolo che in un editoriale si è spinto ad apostrofare la catena americana come “arrogante” e qualche nazionalista da tastiera ad invocare perfino un boicottaggio. Infine, la decisione (già presa a livello globale causa variante Omicron e crisi delle catene di approvvigionamento) di aumentare il prezzo di panini e caffè nel menu di 1-2 yuan: pochi spiccioli, con una tazza di Americano che ora al bancone si pagherà 30 yuan invece di 28, ma tanto è bastato per – manco a dirlo – scatenare un’altra rivolta online. Dopo più di vent’anni di luna di miele molto profittevole, le fortune di Starbucks in Cina stanno arrivando al capolinea?

La Cina rappresenta ancora il secondo mercato per l’azienda di Seattle (dopo gli Stati Uniti, appunto) ma le cifre dell’ultimo trimestre qui sono calate: il gigante del caffè ha riportato un utile netto a gennaio di 897,2 milioni di dollari, rispetto ai 911,1 di dicembre. Con le vendite in negozio scese del 14%. Un calo dovuto, anche, alla crescente concorrenza dei rivali made in China.

Quando nel ’99 Starbucks aprì a Pechino il suo primo negozio in pochi credevano a dire la verità che la mossa si sarebbe trasformata in un buon affare, in un Paese dove la gente di gran lunga preferiva il tè. Ma in questi due decenni la classe media cinese è cresciuta e con essa si sono evolute le abitudini. Pure i concorrenti della catena americana però non sono stati a guardare.

Oggi Starbucks ha 5.557 negozi in tutto il Paese: 500 in meno, però, di Luckin Coffee. L’azienda nata nel 2007, dopo la bancarotta di due anni fa dovuta alle aggiustatine non proprio regolari ai libri contabili con conseguente espulsione dal Nasdaq, si sta rialzando alla grande. E si sta attrezzando proprio per ritornare nella Borsa americana: grazie ai negozi che continuano a spuntare come funghi, grazie alla liquidità portata in cassa da nuovi investitori e grazie a prezzi competitivi proprio rispetto a Starbucks, il rivale numero uno. I ricavi nel 2021 sono stati da record, più che raddoppiati: entrate nette di 2,35 miliardi di yuan (364,7 milioni di dollari), un aumento del 105,6% rispetto ai 1,14 miliardi dell’anno precedente.

Ad insidiare Starbucks ci sono poi altre catene nate in questi anni. Come Manner Coffee, fondata nel 2015 a Shanghai (capitale del caffè in Cina) che da un’unica bancarella per strada oggi conta 300 negozi dal design molto chic e dai prezzi concorrenziali (30-40% in meno rispetto a Starbucks). Lo scorso anno, grazie agli investimenti di colossi come Meituan e ByteDance, Manner Coffee di negozi ne aprì 150 da giugno a ottobre: praticamente più di uno al giorno. Starbucks è avvisata.

Fonte: repubblica.it

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